Cultura e Società

Vi racconto la favola della crisi Greca

C’era una volta un villaggio…

La favola della crisi Greca raccontata ai meno attenti

La Grecia storica luglio 2015 - fotosevizio Giancarlo&Emilia
La Grecia storica luglio 2015 – fotosevizio Giancarlo&Emilia

C’era una volta un villaggio che non aveva un’economia particolarmente avanzata o una tecnologia particolarmente brillante, ma che riusciva a mantenere più o meno stabile il benessere dei suoi cittadini. Le attività più diffuse tra gli imprenditori del villaggio erano la pesca, la costruzione di barche e la produzione di formaggi. Sebbene fosse dipendente da molti prodotti che le città più grosse vendevano e che esso non poteva produrre, questo villaggio riusciva ad acquistare ogni anno ciò che occorreva grazie ai soldi che guadagnava con i suoi piccoli prodotti e ricorrendo a prestiti che si mantenevano stabili nel tempo, non essendo i creditori preoccupati di non riavere indietro il denaro poiché conoscevano la stabilità economica del piccolo borgo.
Un giorno una delegazione proveniente dalle maggiori città della contea giunse nel villaggio e convinse il consiglio dei capi che fosse venuta l’ora di aprirsi di più al mondo, per migliorare la dinamicità della piccola società. Fu così autorizzata la costruzione nell’area del paese di un grosso centro commerciale in cui si vendevano, tra l’altro, pesce e mozzarelle d’importazione e barche prefabbricate. Tutto ciò era molto economico da comprare rispetto alle merci che vendevano i lavoratori del villaggio stesso, poiché era prodotto con materiali troppo innovativi perché essi potessero subito adeguarsi e poiché, inoltre, era fabbricato grazie al lavoro di operai esteri sottopagati. Ma i lavoratori del villaggio non ebbero di che preoccuparsi inizialmente. Sempre grazie alla liberalizzazione del commercio voluta dai capi, una grossa banca si insediò anch’essa nel villaggio, offrendosi di sopperire con larghissimi prestiti alla mancanza di introiti delle famiglie del villaggio, i cui affari cominciavano a declinare a causa della concorrenza del grosso centro commerciale. Li rassicurò il direttore della banca: «Non preoccupatevi, se mi pagate degli interessi più alti di quelli che mi pagano i villaggi più ricchi vi farò credito senza alcun problema! Anzi, grazie ai miei prestiti potete sfruttare pienamente l’apertura al mondo decisa dai vostri capi e inizierete a fare affari d’oro, grazie ai quali poi mi ripagherete!».
Ma il direttore della banca in realtà sapeva bene che, a meno che non fosse avvenuto un insperabile miracolo tecnologico nel villaggio (o a meno che gli imprenditori del villaggio non avessero trovato dei semi-schiavi da sfruttare come il centro commerciale) il piccolo paese non sarebbe mai riuscito a ripagare il suo debito. Perché trovò così conveniente, allora, convincere tali inconsapevoli a contrarre dei debiti che non avrebbero potuto ripagare?
Prima di tutto perché la banca era, guarda caso, anche la banca personale del proprietario del centro commerciale, che depositava dentro le sue casseforti i lauti guadagni ottenuti nel villaggio stesso. Il direttore pensò allora che quello fosse il metodo migliore per investire quell’enorme riserva di denaro, riprestandola ai cittadini dai quali poteva pretendere grossi interessi, data la reputazione umile dell’economia del villaggio. Ma ci fu un fattore decisivo che persuase il banchiere a correre questo rischio così apparentemente insensato. Egli venne a sapere che il gruppo di aristocratici che comandava il villaggio era disposto, in caso di impossibilità da parte delle famiglie debitrici di onorare il debito, a mettere una tassa su tutta la popolazione per garantire i soldi persi dalla banca. Non solo, anche i capi dei villaggi circostanti (che si trovavano in una situazione simile) avevano preso questa tacita decisione. Evidentemente questi capi aspiravano a diventare ricchi e rinomati come il direttore della banca e avevano bisogno della sua protezione e del suo supporto economico per farsi strada nella carriera politica.
Inizialmente niente di quanto paventato si manifestò. Anzi, il meccanismo sembrò addirittura funzionare bene. Gli affari degli abitanti del villaggio sembravano crescere e tutti parevano capaci di pagare i larghi interessi volta per volta e di restituire la somma prestata. Mentre ogni abitante del villaggio infatti guadagnava ogni anno 1000 denari per sé, ne prendeva in prestito altri 3000. L’anno successivo, perciò, ne doveva guadagnare 1000 per sé, 3000 per ripagare i soldi prestati ed altri 500 per pagare gli interessi sui soldi prestati. All’inizio quasi tutti gli abitanti riuscivano a farlo: l’anno prima spendevano parte dei soldi prestati per vivere dignitosamente ed investivano parte di essi per finanziare la loro attività commerciale, l’anno dopo guadagnavano da questa stessa attività abbastanza soldi per pagare il debito contratto l’anno prima, grazie ai soldi presi in prestito dalla banca da altre famiglie per acquistare le loro merci. Ad un certo punto però, la maggior parte degli abitanti cominciò a non guadagnare abbastanza soldi l’anno successivo da ricoprire il debito dell’anno prima. Mentre per i primi due-tre anni ogni pescatore e costruttore di barche riusciva a guadagnare 3500 denari per pagare la somma prestata dalla banca più gli interessi, il terzo anno riuscirono a racimolare, purtroppo, solo 2500 denari, rimanendo con un debito insoluto di 1000 denari. Cos’era successo? Che la competizione del centro commerciale si faceva sempre più forte, e diveniva sempre più difficile convincere i clienti a preferire la merce locale ai prodotti molti più economici che venivano da lontano. Ma il direttore della banca continuava a mostrare sicurezza, dicendo: «Non allarmatevi! Il fatto è che dovete continuare ad investire per rinnovare la vostra attività, fino ad ora non lo avete fatto abbastanza! Quando riuscirete diverrete competitivi come il centro commerciale!».
Perciò, convinse i cittadini del villaggio a contrarre la stessa, consistente, somma di denari in prestito anche l’anno successivo. I commercianti locali avevano così 1000 denari da pagare per l’anno precedente + altri 3500 per l’anno corrente. Molti di questi li usarono per mantenere stabile la qualità della loro vita nonostante l’ulteriore carenza di guadagni, molti altri per tentare di rinnovare i loro prodotti e diventare così competitivi come il loro avversario.
Ma, come il direttore della banca sapeva bene, tutto ciò era un’impresa impossibile. Nel frattempo che i cittadini del villaggio investivano, il centro commerciale aveva già aumentato le sue scorte, migliorato i suoi prodotti e abbassato ancora di più i suoi prezzi, anche grazie alla grande quantità di lavoratori che avevano perso la loro occupazione in altri villaggi a causa della competizione dei loro centri commerciali e che chiedevano di essere assunti nei suoi negozi accontentandosi di salari bassissimi. Prevedibilmente, allora i debitori del villaggio guadagnarono di nuovo una somma altamente insufficiente per saldare il debito: appena 2000 denari, rimanendo con 2500 denari da restituire.
Iniziò così a dilagare l’ansia e la preoccupazione nel villaggio, poiché sempre molte più persone si resero conto che questi debiti non potevano essere pagati continuando con questo meccanismo. In più, un evento improvviso fece definitivamente andare tutto il paese nel panico: il direttore della banca annunciò che, a causa di ingenti perdite di soldi dovute ad affari personali andati male, non aveva più intenzione né possibilità di rischiare denaro prestandolo agli abitanti dell’umile villaggio. I quali rimasero sorpresi dalla sua (apparente) trasformazione vedendolo freddo ed austero mentre diceva: «Anzi, sarebbe meglio che troviate il modo di restituirmi tutti i soldi che mi dovete, se non volete andare incontro a guai grossi!». La paura dilagò tra le vie del paese, nessuno aveva possibilità di guadagnare un minimo dei soldi che doveva al banchiere (anche perché la maggior parte dei proventi dei cittadini proveniva da altri prestiti elargiti dal banchiere stesso). Fu a questo punto che i capi del villaggio, forti del terrore dei cittadini, si ersero a salvatori della patria e fecero questo discorso al popolo:
«Cari concittadini, viviamo in un momento terribile per l’economia del nostro villaggio. Avete vissuto al di sopra delle vostre possibilità, contraendo prestiti che non dovevate contrarre. Non avete lavorato abbastanza per guadagnare i soldi da restituire al nostro amico, che adesso è giustamente arrabbiato e minaccia di chiamare altri amici più potenti per farci molto male. Ma se farete quello che vi diciamo noi non vi succederà nulla. Prima di tutto pagherete una grossa tassa, sia voi che gli abitanti dei villaggi circostanti, per racimolare i soldi da restituire. Poi, dato che avete dimostrato di non saper lavorare abbastanza bene da competere con il centro commerciale e che, quindi, non guadagnate abbastanza soldi da pagare per i vostri bisogni vitali, vi serviranno altri prestiti che vi faranno altre banche che, per fortuna vostra, conoscevano bene noi. Ma per essere sicuri che restituiremo i soldi in futuro, da adesso terremo le tasse altissime, raccoglieremo una qualche somma svendendo le nostre spiagge e i nostri parchi ad altri ricchi imprenditori come quello del centro commerciale e molti di voi lavoreranno per essi, anche se vi pagano poco, perché il villaggio deve risparmiare e non può permettersi di pagare molti dipendenti pubblici».
Il popolo fu costretto ad accettare. Qualcuno si permise anche di dubitare dell’intelligenza e della buonafede dei governanti. «Se paghiamo più tasse, guadagniamo di meno e spendiamo di meno, si disse, gli affari dei nostri lavoratori locali andranno sempre peggio fino a chiudere. E quanto più essi chiuderanno, tanto meno le famiglie avranno soldi da spendere e i pochi soldi che avranno li spenderanno nei prodotti più economici degli imprenditori stranieri, che ora posseggono anche i servizi dei parchi e le spiagge! Nessuno avrà neanche la possibilità di tentare di raggiungere la qualità di questi prodotti, non avendo soldi da investire! Diventeremo sempre più schiavi del debito, come un circolo vizioso!». Nessuno diede retta a queste poche voci ribelli, finché il tempo diede loro ragione.
E siamo arrivati ai nostri giorni, in cui il popolo del nostro villaggio è confuso, amareggiato, frustrato e affamato. Migliaia di suicidi sono avvenuti per colpa di queste scelte. Qualcuno dice che è ora di mandare al diavolo tutti i creditori e ridiventare come si era prima dell’avvento della grande apertura selvaggia al commercio esterno. Qualcuno dice che è impossibile farlo, altri che i debiti vanno sempre pagati, nonostante la storia dica chiaramente come la responsabilità di questi debiti e, anche, del bisogno di contrarre questi debiti, non sia di chi le leggi vogliono che si dissangui per pagarli.
C’è chi usa parole forti, dicendo che questo villaggio (insieme a molti altri) sia stato vittima di un’ideologia economica prepotente, miope, inefficacie e ingannevole. Distrutto dall’atteggiamento da usuraio di chi ha consapevolmente speculato sul suo fallimento. Chi dice ciò viene perlopiù tacciato come demagogo e non preso sul serio.
Nel nostro mondo la morale di questa favola non è conosciuta da molte persone. Il nome del villaggio è ben conosciuto ed univoco, in effetti: si chiama Grecia. Il nome dei suoi creditori, dei governanti citati, dell’ideologia che ha portato alla sua fine, dei proprietari delle sue aree pubbliche sono conosciuti in modo più ambiguo però, con nomi costruiti appositamente per nascondere l’onta della carneficina che hanno contribuito a realizzare. Un esempio su tutti: l’apertura selvaggia e miope agli affaristi esteri ha diversi nomi, bellissimi e rassicuranti. Come Integrazione Economica Europea e Moneta Unica.

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