Fede e dintorni

Quando anche le monache si indignano

Rubrica quotidiana a cura di P. Salvatore Brugnano

Storie belle… per vivere meglio

Quando anche le monache si indignano.

Ha fatto scalpore il post sui social media delle Monache Carmelitane di clausura con cui prendono decisa posizione contro una sentenza emessa dai giudici in Spagna. Di fronte allo stupro di gruppo e alla conseguente sentenza troppo «soft», all’indignazione quasi mondiale si è unita anche quella delle carmelitane spagnole di Hondarribia Noya. Il post è diventato subito virale nelle rete: «Sorella, ti credo… difenderemo sempre il diritto delle donne di scegliere come comportarsi senza essere giudicate, violentate». – Nel 2011 fece epoca la lettera aperta di Suor Giaretta della Comunità Rut (Caserta), che, in occasione dello scandalo Ruby, rivolse all’allora Presidente del Consiglio italiano Berlusconi ed altri: «Come a lui (Erode) noi ti diciamo: non ti è lecito offendere e umiliare la “bellezza” della donna. Non ti è lecito trasformare le relazioni in merce di scambio, guidate da interessi e denaro; e soprattutto oggi non ti è lecito soffocare il cammino dei giovani nei loro desideri di autenticità, di bellezza, di trasparenza, di onesta. Tutto questo è il tradimento del Vangelo, della vita e della speranza».

«Sorella, ti credo».
«Difenderemo con tutti i mezzi a nostra disposizione il diritto di tutte le donne di scegliere come comportarsi senza essere giudicate, violentate, minacciate, assassinate o umiliate per tale ragione. Sorella io ti credo».
♦ Suor Patricia Noya cita quasi testualmente il messaggio pubblicato sul profilo Facebook delle carmelitane scalze di Hondarribia.
♦ Alcuni giorni fa, la “condanna soft” ai cinque giovani che, nel luglio di due anni fa aggredirono una 18enne durante la festa di San Firmín, ha provocato sdegno nell’opinione pubblica spagnola.
Marce e cortei, accomunati dallo slogan “sorella io ti credo”, si sono svolti in Navarra – regione dove è avvenuto il crimine – e in altre città della Penisola.
Sabato 21 aprile in trentamila hanno sfilato per le vie di Pamplona contro il verdetto che ha punito il “branco” solo per molestia e non per stupro, comminando una pena di nove anni invece dei venti chiesti dall’accusa. La difesa ha già annunciato il ricorso.

♦ La notizia ha fatto irruzione anche nel piccolo convento in provincia di San Sebastián, al confine con la Francia.
♥ «Ci siamo sentite interpellate come donne e come cristiane. Ne abbiamo discusso insieme. Così è nata la riflessione condivisa che, poi, abbiamo scritto su Facebook. Come discepole di Gesù non possiamo tacere quando la dignità umana è calpestata. Il silenzio ferisce le vittime.
Materialmente l’ho messo io in bacheca, ma esso rappresenta il punto di vista di tutte le quindici consorelle.  Non pensavamo avrebbe avuto tanta eco», racconta suor Patricia ad Avvenire.
Invece, nel giro di due giorni, il messaggio ha avuto oltre diecimila condivisioni e più di un migliaio di commenti. In gran parte ringraziamenti. «Quando hanno iniziato a chiamare i media ci siamo preoccupate. Poi abbiamo pensato: “Non dobbiamo avere timore di ripetere ciò che sentiamo in coscienza”».
♦ A scrivere è suor Patricia Noya, la responsabile della pagina Facebook del convento, che in un’intervista a Verne di El Paìs commenta il clamore generato dall’intervento: “Avere abiti diversi non significa stare fuori dal mondo, questo tipo di questioni appartengono anche a noi”.
Il caso è arrivato negli Stati Uniti dove è stato diffuso da alcune esponenti del movimento #metoo come l’attrice Jessica Chastain.

(fonte: cf Avvenire.it, 28 aprile 2018).

Ha fatto scalpore il post sui social media delle Monache Carmelitane di clausura con cui prendono decisa posizione contro una sentenza emessa dai giudici in Spagna. Di fronte allo stupro di gruppo e alla conseguente sentenza troppo «soft», all’indignazione quasi mondiale si è unita anche quella delle carmelitane spagnole di Hondarribia Noya. Il post è diventato subito virale nelle rete: «Sorella, ti credo… difenderemo sempre il diritto delle donne di scegliere come comportarsi senza essere giudicate, violentate».

Condividi l'articolo