Fede e dintorni

Gli ultimi al servizio degli ultimissimi

Rubrica quotidiana a cura di P. Salvatore Brugnano

Storie belle… per vivere meglio

Gli ultimi al servizio degli ultimissimi.

– L’agghiacciante rivelazione sulla funivia di Mottarone ci è apparsa come qualcosa di abominevole e ci ha chiuso il cuore in una tristezza infinita, specialmente a quanti sono impegnati nel bene, perché sembra evidenziare che non insegna nulla l’impegnarsi nel bene.
– E invece no! Accanto e oltre le tristi notizie che fanno vedere una umanità malata di peccato, occorre diffondere le storie di bene, perché non dobbiamo perdere la speranza di vedere una umanità che cerca la redenzione.
– Ci sono tante altre storie, storie nuove, significative, che aprono vie nuove, strade inedite alla creatività generosa e generativa propria degli esseri umani.
– Nella storia di oggi vediamo come a Casa Caciolle (Firenze), gestita da un sacerdote, quattro detenuti preparano pasti per i senzatetto: gli ultimi al servizio degli ultimissimi.

Per tutti c’è redenzione.
♦ C’è qualcuno che ha il coraggio di affermare che una persona dal passato burrascoso con precedenti penali non abbia la possibilità di redimersi e possa contribuire ad aiutare chi è in difficoltà? Guardi al bel progetto di solidarietà che coinvolge alcuni detenuti del carcere di Sollicciano a Firenze.
Ospiti di Casa Caciolle, una struttura dell’Opera della Divina Provvidenza Madonnina del Grappa dove stanno scontando la pena alternativa, Michele, siciliano, Giuseppe, toscano, Francesco, calabrese, e Leonardo, albanese, preparano ogni giorno un pasto per i senza fissa dimora della zona.

Gli “ultimi”, i detenuti, si occupano e si preoccupano degli “ultimissimi”, i senza tetto. Una solidarietà che non ti aspetti!
«Fin dall’emergenza pandemica — racconta don Vincenzo Russo, cappellano del carcere Sollicciano e presidente dell’Opera della Divina Provvidenza Madonnina del Grappa di Firenze — i detenuti si sono resi conto che bisognava fare qualcosa per chi vive ai margini della società. Prima della pandemia ospitavamo a cena i senzatetto a Casa Caciolle, ma con il covid abbiamo dovuto cambiare sistema, preparando i pasti e facendoli arrivare a destinazione».
«Sono convinto che scontare parte della pena con misure alternative è possibile solo se c’è un lavoro e una casa che accoglie il detenuto. Il sistema carcerario è al collasso e non si rende conto che i reclusi sono persone che hanno un cuore e tanto amore da donare. Non sono semplici cartelle giudiziarie».

♦ Ed è qui che “entra in gioco” Casa Caciolle che ha lo scopo di favorire percorsi di risocializzazione e di reinserimento nel tessuto sociale e lavorativo. Oltre 30 pasti al giorno vengono preparati nella cucina della struttura.

♦ L’Opera promuove e realizza diverse altre iniziative: organizza e mantiene strutture abitative collettive promuovendone l’autogestione da parte delle comunità degli ospiti, come momento centrale del recupero del vivere sociale; organizza la formazione professionale degli ex detenuti e li sostiene nella ricerca e nel mantenimento del lavoro; realizza occasioni di incontro ed eventi culturali, sociali per gli ospiti delle comunità e aperti al pubblico, come momento educativo e di autofinanziamento.

«Ogni volta che cuciniamo per i senzatetto — racconta uno dei detenuti — è come se fosse una terapia di redenzione che in qualche modo ci ricorda il nostro passato marginale e randagio, dove anche noi avremmo avuto bisogno di un pasto caldo».

♦ Ogni sera, quindi, intorno alle 20, il cibo preparato dai detenuti viene prelevato dalla Protezione Civile, dalle Misericordie e dalla Croce Rossa, per essere distribuito sul territorio fiorentino. Una rete di solidarietà che coinvolge numerose persone.
«Pensare che attraverso il nostro lavoro di volontariato possiamo aiutare i più bisognosi — sottolineano Michele, Giuseppe, Leonardo e Francesco — per noi è una rinascita. In questo momento di sofferenza collettiva essere partecipi di questo movimento di solidarietà è importante per noi».

E don Vincenzo non ha dubbi. «I detenuti che escono da un istituto di pena, spesso si trovano in condizioni peggiori di quando sono entrati perché durante la permanenza in cella non sono stati realizzati progetti di recupero socio professionali.
A Casa Caciolle — conclude il sacerdote — ospitiamo i detenuti a fine pena e li seguiamo in un percorso di reinserimento. Li aiutiamo a dare un senso alla loro vita. Qui, con loro io faccio comunità, una comunità cristiana, viviamo come se fossimo un’unica famiglia, dove ciascuno si sente coinvolto dalle esigenze degli altri e cerca di dare una mano in qualsiasi modo».

(fonte: L’Osservatore Romano, 27 maggio 2021).

«A Casa Caciolle (Firenze) ospitiamo i detenuti a fine pena e li seguiamo in un percorso di reinserimento. Li aiutiamo a dare un senso alla loro vita. Qui, con loro io faccio comunità, una comunità cristiana, viviamo come se fossimo un’unica famiglia, dove ciascuno si sente coinvolto dalle esigenze degli altri e cerca di dare una mano in qualsiasi modo», dice don Vincenzo Russo, cappellano del carcere Sollicciano e presidente dell’Opera. In questa Casa quattro detenuti preparano pasti per i senzatetto: gli ultimi al servizio degli ultimissimi.

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