Fede e dintorni

Il generoso perdono del vescovo ferito

Rubrica quotidiana a cura di P. Salvatore Brugnano

Storie belle… per vivere meglio

Il generoso perdono del vescovo ferito.

– «Perdono queste persone dal più profondo del cuore». Padre Christian Carlassare, il vescovo eletto della diocesi di Rumbek in Sud Sudan ferito alle gambe in un agguato in Sud Sudan mentre si trovava nella propria abitazione, risponde al telefono dal suo letto nell’ospedale di Nairobi, in Kenya.
– Alla domanda se, nel più profondo del cuore, si sentisse di condannare gli autori di un così terribile atto, egli ha risposto di no: «Perché sono giovani e certamente non l’hanno fatto per una ragione contro di me. Sospetto che qualcuno gli abbia commissionato questo gesto. Dunque, mi sento di perdonare come perdono chi li ha spinti ad agire. E lo faccio a nome di tutta la gente di Rumbek che, quando sono stato colpito, era fuori dall’ospedale cittadino e dall’aeroporto, dicendomi: “Padre non abbandonarci, padre ritorna. Non volevano lasciarmi partire per non perdere il loro vescovo».

Tra gli arrestati, membri della stessa comunità cattolica.
♦ Nella notte tra domenica e lunedì (25-26 aprile) due persone armate hanno fatto irruzione nella casa di monsignor Christian Carlassare, missionario comboniano e nuovo vescovo di Rumbek in Sud Sudan, e gli hanno sparato alle gambe.
“Pregate non per me ma per la gente di Rumbek che soffre più di me”; le prime parole del giovane vescovo originario del Veneto, dopo l’attacco subito domenica notte. Il Papa ha subito pregato per lui.
♦ Due giorni dopo dodici persone sono stati arrestate a Rumbek, in Sud Sudan, accusate di essere coinvolte nell’agguato al vescovo Christian Carlassare. Lo ha riferito l’agenzia d’informazione Aci Africa, secondo quanto rilanciato da Nigrizia, la rivista dei Comboniani.
♦ “Tre di loro, tra cui spicca il nome del coordinatore diocesano John Mathiang, sono preti della Diocesi di Rumbek mentre gli altri sono laici con diverse responsabilità a livello della Chiesa locale”, riferisce il portale dei missionari di cui fa parte lo steso padre Carlassare.

♦ La Chiesa sudsudanese sarebbe dunque in qualche modo coinvolta. Scrive Nigrizia, il portale dei Comboniani, facendo parlare una fonte anonima ma ‘sicura’ : “Le cose erano chiare da subito ma ora sono evidenti e possiamo dire con certezza che la responsabilità è di una porzione di Chiesa dinka (l’etnia del presidente Slava Kirr), che chiamo ‘clan’, all’interno delle autorità ecclesiali locali.
♦ John Mathiang è solo una pedina di questo clan. Il vero mandante è più lontano ancora ed è collettivo. Si tratta di una frazione della comunità ecclesiale di origine dinka che vuole avere il suo peso nella Chiesa e nel Paese per mettere mano sulle sue ricchezze”.

Aci Africa rivela che gli arresti sono stati possibili grazie al ritrovamento del telefonino che sarebbe caduto ad uno dei due assalitori durante l’agguato e che padre Christian, colpito alle gambe, avrebbe involontariamente nascosto cadendovi sopra. Dai tabulati sarebbe così stato possibile per le autorità, che investigavano sulla vicenda, di risalire ai responsabili.
♦ Ma l’operazione tempestiva della polizia locale è realmente stata possibile soltanto grazie al comunicato del presidente Salva Kirr che ieri, in un’apposita nota, chiedeva investigazioni rapide dopo l’accaduto.
♦ “Quello del presidente è stato un segnale preciso: si doveva agire perché si erano oltrepassati i limiti. Lui, che si definisce cattolico, sognava da tempo un vescovo dinka ma con questa vicenda a livello internazionale il Sud Sudan ne esce distrutto e stavolta Salva Kirr non può permetterselo”. (da ansa.it/sito/notizie/politica/2021/04/27).

L’intervento chirurgico.
♦ È stato un intervento difficile? – La vera difficoltà principale è stata quella di reperire del sangue compatibile per una trasfusione, visto che padre Christian ne aveva perso moltissimo a causa dei colpi di arma da fuoco.
♦ Il suo gruppo sanguigno, RH negativo, è raro in Africa. La fortuna è stata che un operatore del Cuamm fosse compatibile: grazie alla trasfusione la situazione si è stabilizzata.
♦ Nella notte ha subito una nuova operazione per ripulire le ferite dalle schegge di proiettile e il suo stato d’animo è tranquillo, quasi del tutto sereno.
Alla domanda se, nel più profondo del cuore, si sente di condannare gli autori di un così terribile atto, risponde di no: «Perché sono giovani e certamente non l’hanno fatto per una ragione contro di me. Sospetto che qualcuno gli abbia commissionato questo gesto. Dunque, mi sento di perdonare come perdono chi li ha spinti ad agire. E lo faccio a nome di tutta la gente di Rumbek che, quando sono stato colpito, era fuori dall’ospedale cittadino e dall’aeroporto, dicendomi: Padre non abbandonarci, padre ritorna. Non volevano lasciarmi partire per non perdere il loro vescovo».

♦ Padre Carlassare ha subito ipotizzato come la vicenda «possa essere legata ad un avvertimento, ad un atto intimidatorio, dato che, se avessero voluto ammazzarlo, avrebbero potuto farlo con estrema facilità. Ma gli arresti eseguiti rivelano una situazione ben più complicata.
♦  Una cosa è certa: il suo ferimento non cancellerà il profondo desiderio di portare avanti la sua azione pacificatrice nel tentativo di far cessare ogni odio etnico.
«Questa — dice Carlassare — non è la mia azione ma l’azione della Chiesa. È il messaggio del vangelo che non può cambiare davanti agli ostacoli e alle difficoltà.
La situazione di croce che stiamo vivendo ci costringe, anzi, ad essere più fedeli ancora al messaggio del vangelo sapendo anche che si potrà pagarne il prezzo».

«Perdono queste persone dal più profondo del cuore». Padre Christian Carlassare, il vescovo eletto della diocesi di Rumbek in Sud Sudan ferito alle gambe in un agguato in Sud Sudan mentre si trovava nella propria abitazione, risponde al telefono dal suo letto nell’ospedale di Nairobi, in Kenya. – Alla domanda se, nel più profondo del cuore, si sentisse di condannare gli autori di un così terribile atto, egli ha risposto di no: «Perché sono giovani e certamente non l’hanno fatto per una ragione contro di me. Sospetto che qualcuno gli abbia commissionato questo gesto. Dunque, mi sento di perdonare come perdono chi li ha spinti ad agire. E lo faccio a nome di tutta la gente di Rumbek che, quando sono stato colpito, era fuori dall’ospedale cittadino e dall’aeroporto, dicendomi: “Padre non abbandonarci, padre ritorna. Non volevano lasciarmi partire per non perdere il loro vescovo».

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