La città di Tropea ha recentemente assistito alla nascita di una nuova comunità culturale
Di seguito l’intervento del Dirigente Scolastico, Prof. Fiumara, rivolto alla Comunità tutta
Non si è fatta attendere la partecipazione appassionata e competente del Dirigente Scolastico Francesco Fiumara, fine letterato e studioso; con vivo entusiasmo e approfondita conoscenza, ha inteso condividere con l’intera Comunità la notizia della nascita della sezione tropeana della “Dante Alighieri”, pubblicando una circolare sul sito dell’Istituzione scolastica da lui diretta.
Nella premessa così chiosa: “La nostra terra di Calabria merita che la cultura dantesca pervada ogni angolo dei nostri paesi e persino delle nostre case, e lo merita sia per quello che essa stessa ha rappresentato per Dante, sia per ciò che Dante ha rappresentato per la nostra identità regionale”.
Poi ancora delizia i lettori con attenta disamina dell’eredità letteraria, dantesca, calabrese:
“La Calabria per Dante
Per l’Alighieri la Calabria non era certo una periferia politico-culturale, ma era un prezioso mosaico, intessuto di poliedriche e sapienti tessere. Malgrado la voce Calabri nel De vulgari eloquentia identifichi i pugliesi della penisola salentina, la Calabria di Dante, in virtù della sua prossimità geografica, era espressione di quel sogno “ghibellino” della monarchia universale incarnato dal Regno delle due Sicilie, del quale la penisola calabrese faceva parte. Stiamo parlando del Regno di Federico II, lo stupor mundi, ma soprattutto di quello del figlio Manfredi. La Calabria era dunque terra del diritto, ma anche della filosofia, dell’arte, della poesia e della profezia (poesia e profezia che per il Dante della Comedìa coincidono). Era la Calabria di Cassiodoro, del Codex purpureus rossanensis, del poeta “siciliano” Folchetto Ruffo, del calavrese di spirito profetico dotato (Paradiso XII, 140) Gioacchino da Fiore, nativo di Celico (CS). Quest’ultima è la Calabria messianica, ascetica e profetica in grado di imprimere il proprio contributo sapienziale, visionario e ispirato al poema sacro di Dante, scritto in collaborazione con Dio (al quale ha posto mano e cielo e terra), “quinto evangelo” di un cristianesimo del cuore e dell’intimità della coscienza. Il murales a lato è stato recentemente inaugurato presso il Comune di Celico e rappresenta la simmetria delle due esperienze spirituali e profetiche, quella dantesca e quella gioachimita, il cui asse di congiunzione è rappresentato al centro dalla fiamma ispiratrice dello Spirito Santo. La Calabria per Dante era, altresì, terra custode di quelle lingue e lettere classiche che di lì a poco Barlaam da Seminara e Leonzio Pilato (entrambi calabresi) avrebbero insegnato niente di meno che ai preumanisti Petrarca e Boccaccio. Eppure l’Alighieri, in virtù della propria sensibilità intuitiva e in virtù della propria fantasia pervasiva, è in grado di cogliere le contraddizioni della nostra terra e lo fa magistralmente nel canto terzo del Purgatorio. Il pastor di Cosenza -il vescovo Pignatelli- proprio ai confini con la Calabria fa scempio del corpo di Manfredi, disseppellendo in segno di maledizione e di spregio le ossa di quell’imperatore scomunicato cui pure Dante regala, un po’ come Cristo al buon ladrone, la salvezza dell’anima (Orribil furon li peccati miei/ma la bontà infinita ha sì gran braccia/che prende ciò che si rivolge a lei). Mi piace cogliere e condividere con voi tale suggestione: ai confini della Calabria dell’imperatore Manfredi si svolge iconicamente la partita della salvezza dell’uomo, il braccio di ferro tra disperazione e speranza, la disputa tra la giustizia inflessibile e la misericordia magnanima, la tenzone tra il bene e il male, tra la superbia intellettuale e l’umiltà del cuore, e si schiude prodigiosamente ed escatologicamente il destino di felicità dell’uomo. Il regno delle due Sicilie è il trampolino di lancio verso la felicità, proprio nel contesto dell’oscurantismo religioso e della corruzione clericale.
Dante per la Calabria
La Calabria è tutt’oggi piccola custode della tradizione manoscritta dantesca. Un frammento di codice dalle pregevoli iniziali miniate è ancora oggi esistente nella Biblioteca Capialbi di Vibo Valentia. Altri codici -come l’Ashburnamiano Laurenziano custodito a Firenze- appartengono senz’altro a copisti calabresi, data la patina regionale che ne identifica inequivocabilmente l’identità. A mero titolo esemplificativo e non certo esaustivo, la magia linguistica e letteraria dantesca ha dato impulso al temperamente calabrese antitirannico e nello specifico: – alla scrittura apocalittica e mistica di Tommaso Campanella, ispirandone la ribellione al dispotismo politico e alla corruzione clericale, nonché il sogno di una repubblica universale teocratica; – alla scrittura di Gian Vincenzo Gravina, nativo di Roggiano presso Cosenza, cofondatore niente di meno che dell’Accademia dell’Arcadia; – all’arte figurativa di A. Cefaly, patriota garibaldino e illustratore della Commedia. Grazie alla neonata associazione tropeana, grazie all’istituzionalizzazione degli studi danteschi nella nostra costa degli dèi, vogliamo ancor più trasferire un messaggio di centralità dello studio ai nostri alunni. Quando nella nostra selva oscura quotidiana anche la politica o la religione non avessero più parole, quando i due soli delle leggi dell’uomo e delle leggi di Dio fossero improvvisamente oscurati, l’impulso a vincere le proprie paure viene da un libro, il libro preferito di Dante, l’Eneide virgiliana, e dunque dalla poesia quale depositaria di un messaggio di speranza e di un’ombra felicità.
Questa è la scuola dello studio che ha il sapore dell’uomo che mi onoro di dirigere.
Dirigente scolastico Prof. Francesco Fiumara”