Cultura e Società

La storia di Tropea, la sua cultura, i colori, i sapori, le leggende

Tratto dai documenti dell’archivio comunale

La storia della perla del Tirreno dalle sue origini fino ai giorno nostri

stampa1Le origini
Le più antiche testimonianze umane rinvenute nel territorio di Tropea risalgono al neolitico. Grazie agli scavi di inizio Novecento effettuati a seguito di un restauro nella Cattedrale e poi agli scavi degli anni Settanta della Soprintendenza archeologica della Calabria, sappiamo di uno stabile insediamento umano nell’area intorno alla chiesa che aveva invece una necropoli nei pressi della stazione ferroviaria.
Questo insediamento è collocabile tra l’età del Bronzo medio e la prima età del Ferro (XVI-IX secc. a.C.). I pithoi funerari, le incinerazioni proto-villanoviane e le inumazioni a fossa rilevate dal Foti testimoniano la continuità dell’insediamento attraverso i secoli. La necropoli proto-villanoviana scoperta invece nel 1962 nei pressi del vallone dell’Annunziata avrebbe, secondo la De Sensi, connotazioni Ausoni

L’età greca e romana
Durante il periodo successivo Tropea fu forse frequentata dai Greci, Italici e Brettii, come del resto dimostrano le 21 tombe di IV sec. a.C. rinvenute in località Contura (nello strato superiore a quello della tomba a fossa della prima età del Ferro). Dando fede allo storico greco Tucidide infatti, sappiamo che i territori controllati dalle tre città greche di Ipponion, Medma e Lokri erano confinanti tra di essi, e quindi anche gli abitanti di questo territorio, compresi quelli dei dintorni di Tropea, entrarono a contatto con quella evoluta civiltà. Il nome stesso di Tropea potrebbe avere origine greca, forse a causa dell’erezione di tropaia (trofei) in punti ben in vista dal mare in onore di Zeus Tropaìos (il cui culto è attestato nei pressi di Ipponion). Nel III sec. a.C. i romani presero il posto dei greci sul territorio, iniziando a controllare l’Ager Vibonensis e, nel II sec. a.C., dalla colonia greca Ipponion fu dedotta la romana Valentia. Recenti studi hanno dimostrato che l’organizzazione dei romani e la loro capacità di sfruttare il territorio ha lasciato delle tracce anche nei pressi di Tropea: sul ricco giacimento di granito presente nell’area del famoso scoglio della Pizzuta sarebbe stata creata una cava e non è difficile, immergendosi nelle acque che bagnano lo scoglio, imbattersi in resti di colonne e frammenti di capitelli! Altre tracce della presenza romana nei pressi di Tropea sono rappresentate dalla villa con impianto termale che si trovava in località Crivo (Parghelia) o la necropoli in contrada San Pietro, vicino al confine con il torrente La Grazia, o ancora le aree produttive, come le fornaci attestate da Toraldo a nord di Ciaramiti, o infine il famoso Portus Herculis attestato da Strabone (Geografia, VI, 1, 5) e da Plinio (Storia naturale, III, 73) – forse nei pressi della spiaggia di Formicole o comunque tra Tropea e S. Maria -. Fatto sta che fino al V sec. d.C. Tropea e il suo ampio territorio rientrarono nell’orbita dell’influenza romana ed in questo periodo di dominazione si formò la tradizione secondo la quale il nome di Tropea sarebbe derivato dai tropaia, trofei, innalzati sul sito delle vittorie compiute da illustri personaggi della storia romana come Publio Cornelio Scipione L’Africano, Sesto Pompeo e perfino Ottaviano. Altre leggende legherebbero il nome di Tropea al Tropaìa, il vento che spira dal mare verso la terra, ed ancor oggi i marinai locali definiscono tropèe i vortici improvvisi che possono causare problemi durante la navigazione (il termine è riportato anche nel Dizionario dialettale della Calabria di Gerhard Rohlfs)

stampa2Il Cristianesimo
Tra il V e il VI sec. d.C. Tropea fu teatro di una rapida cristianizzazione, che ci viene testimoniata dal più vasto complesso cimiteriale paleocristiano scoperto nel Bruzio.
La prima comparsa di Tropea su di un documento ufficiale è legato inoltre ad una lettera pontificia del 559 di papa Pelagio I. Tropea appare indicata infatti come Trapeiana massa dell’ager Vibonensis. Sempre da questa lettera pontificia si evince che i primi abitanti del luogo (Dulcitia e Clarentius) fossero servi agricoli di una chiesa calabrese (pare che Clarentius cercasse di elevare il suo rango a quello di curialis). Nel 591 furono segnalate da papa Gregorio Magno le ristrettezze economiche in cui versava il monastero di Sant’Arcangelo di Tropea (monasterium sancti Archangeli quod in Tropeis constitutum) al rettore del patrimonio bruzio della chiesa di Roma. Ma la precoce cristianizzazione del territorio circostante si evolse presto in diocesi e diede quindi vita al centro urbano di Tropea, concepito come civitas e non più massa. Nel 649 Tropea aveva il suo vescovo titolare e residenziale e ciò significa che era già munita delle fortificazioni necessarie per garantire protezione al presule (secondo le disposizioni di Gregorio Magno), edificate sull’originaria cinta muraria innalzata dal famoso generale bizantino Belisario (tra il 534 e il 536 o tra il 543 e il 548).
Sotto papa Martino I, nei primi decenni del VII sec. e quindi sotto il patriarcato di Roma, abbiamo infatti la segnalazione di un certo Giovanni, primo vescovo Tropèon (dei Tropeani). Pochi anni dopo, nel 680, il vescovo tropeano Teodoro partecipò addirittura al sinodo romano. Nel 732-733 le diocesi calabresi passarono alla sovranità imperiale del patriarcato di Costantinopoli (con la disposizione del basileus bizantino Leone III). Tropea si legò quindi non solo al mondo religioso bizantino (con l’adeguamento linguistico durante le liturgie) ma anche culturale, politico e amministrativo. Al II concilio di Nicea del 787 partecipò anche il vescovo Teodoro II di Tropea, e ciò testimonia la subordinazione della città al patriarca d’Oriente. Solo grazie al legame con Bisanzio inoltre, Tropea riuscì a scampare alla minaccia saracena, che nel IX secolo la mise in ginocchio assieme a Santa Severina ed Amantea. I Bizantini infatti mandarono il valoroso Niceforo Foca il Vecchio, che le riportò ai bizantini nell’885/6. Ma anche nel 946 e nel 985 Tropea venne presa di mira dai Saraceni, che quindi ne dovevano aver grande considerazione. Il legame alla chiesa d’Oriente andò via via indebolendosi lungo il secolo successivo, e se il vescovo greco Calociro era in carica ancora nel 1066, sappiamo che già nel 1067 la moglie di Roberto il Guiscardo Sikelgaita cercò rifugio nella città quando i soldati del cognato, il conte Ruggero, uccisero suo marito a Mileto. Questo dimostra che già in quel periodo esistevano legami tra i Normanni, fedeli alla chiesa d’Occidente e qualche nobile casata tropeana. In quello stesso periodo la tonnara in località Bordella presso Tropea, la chiesa di S. Maria dell’Isola e alcuni territori dei dintorni con le rispettive dieci famiglie che li coltivavano, furono donati da Sikelgaita all’abate Olderisio di Montecassino (e per quelle famiglie di fedeli di culto latino fu eretta nel territorio cassinese la chiesetta di S. Maria, proprio per questo motivo detta “de Latinis”).

Il periodo Normanno-Svevo
Tropea passò dunque agli Altavilla già sotto Ruggero il Granconte che, alla sua morte (1101), la passò al figlio Ruggero II (primo re di Sicilia). Ruggero II, dopo aver ricevuto il titolo di re da papa Anacleto, accordò al vescovo tropeano Tusteno i privilegi precedenti e la giurisdizione sui territori circostanti. Grande periodo fu quello per Tropea, se il vescovo Erveo, nel 1160, ebbe modo di dimostrare la sua fedeltà a Maione restituendo al sovrano 7000 tarì al posto delle 300 once d’oro che aveva ricevuto in precedenza in deposito. Di erede in erede, la dominazione dei Normanni servì ad obliterare le tracce del periodo Bizantino a Tropea. Il successore del vescovo Erveo, un certo Coridone, ebbe gran peso nella vita ecclesiastica calabrese e buoni rapporti col papa Alessandro III.
Proprio sotto il suo lungo vescovato (1179-1194), in un periodo di transizione del potere dai Normanni agli Svevi, venne eretta la cattedrale. Sotto il vescovato di Riccardo (1199-1204) e di Radulfo (1204-1214) la città, divenuta contea, era governata da Anfuso de Roto. Questi divenne uno dei feudatari più ambiziosi e potenti della regione, rivelandosi senza scrupoli. Quando però uscì dalla scena, anche per Tropea si aprì un periodo di tranquillità e la città rimase apparentemente estranea agli eventi storici di maggior portata. Con l’editto di Capua del 1221 Tropea fu affidata a Ruggero Attavo, mentre la chiesa era retta dal vescovo Giovanni (1215-1237). Durante quest’età di trapasso un grande personaggio originario di Tropea, il conte di Catanzaro Pietro Ruffo di Calabria, fu provicario imperiale di Calabria e Sicilia. Ma quando nel 1255 anche la sua sorte volse al peggio ed egli tentò di rifugiarsi nella terra dei suoi avi, dove poteva contare sull’aiuto di suo nipote Giordano Ruffo stratigotus di Tropea, trovò l’opposizione di Riccardo di Frosina, partigiano di Manfredi ed eletto capitano del nascente comune di Tropea (unica tra le terre calabresi!).

stampa3La città aristocratica nel Cinquecento
Il cinquecento fu un periodo di grandi cambiamenti per Tropea. La città era allora divisa in quartieri, ricalcanti il suo assetto urbanistico: una strada principale correva lungo il centro, tagliando in due l’area quasi circolare dell’abitato e collegando la porta Vaticana (cioè che dava verso il Capo Vaticano) alla porta opposta situata dietro il Vescovato e detta di Mare (che permetteva un rapido raggiungimento, per mezzo di una scalinata, dell’area della Marina del Vescovado e attraverso questa all’area portuale nei pressi di Parghelia). La città era inoltre divisa (quasi a “fette”) in quartieri basati sulle parrocchie: la zona che dal castello andava fino alla porta Vaticana (la meno popolosa), formava il quartiere S. Caterina; la più vasta e popolosa era la zona limitrofa che abbracciava dai palazzi affacciati sul mare a quelli interni sulla via principale, chiamata S. Giacomo (chiesa demolita); la zona che si affacciava di fronte allo scoglio S. Leonardo e quella vicina sino alla porta di Mare erano dette rispettivamente S. Nicola e S. Demetrio. Il cinquecento fu un secolo di crescita demografica per Tropea, nella quale confluirono famiglie nobiliari da ogni parte, per unirsi a quelle già presenti (e magari ereditarne i beni). Nonostante ci fosse un General parlamento in cui partecipavano le rappresentanze del ceto nobiliare e del popolo, pare che la componente gentilizia avesse la preminenza nelle assemblee. La vita politica locale riuscì a darsi una riorganizzazione e ad annullare (in teoria) la preponderanza dei nobili solo dopo la riforma amministrativa avvenuta a Cosenza nel 1565, e su modello di quella. Nel 1967 la maggioranza nelle assemblee poteva essere allora ottenuta solo coi due terzi dei votanti, formati da sei Eletti tra i nobili e sei Eletti tra il popolo (tra gli onorati di questo ceto non potevano comparire analfabeti o nati da unioni illegittime), anche i due giudici della corte Bagliva e i due sindaci dovevano essere uno per parte, mentre solo i due Mastrogiurati della Corte Capitaniale rimanevano esclusiva dei nobili.
L’Università tropeana (la corporazione che amministrava la città), si occupò soprattutto di marginare il fenomeno dell’emigrazione, dovuto alle ingenti gabelle che i cittadini non riuscivano a sostenere. Ma il sistema adottato dell’apprezzo colpì soprattutto i nobili, con i loro grandi possedimenti. E mentre le gabelle colpivano i poveri, l’apprezzo costrinse alcuni nobili a ricorrere
alla carriera ecclesiastica, che comportava l’esenzione delle imposte sui propri beni, altri a trasferire le proprie proprietà sotto il controllo meno opprimente dei casali confinanti (separatisi dalla città dominante proprio per avere propri esattori). I nobili riuscivano così a eludere l’imposizione di tasse ingenti da parte dell’Università tropeana, traendo comunque benefici dai proventi delle gabelle e dai loro terreni nei casali, nei quali edificarono alcune ville o “torri” per controllarli da vicino. Sotto il profilo culturale negli anni tra il vescovo Pappacoda e il suo successore, Monsignor Giovanni Boggio (1541-1559), che nacque a Tropea un’Accademia che in seguitò verrà identificata con l’Accademia degli Affaticati.
E’ sempre in quegli anni che operarono i due fratelli Pietro e Roberto Boiano che furono, a detta di Nicola Scrugli, “cerurgi sorprendenti per la mirabil arte d’innestare le labbra e i nasi mutilati”. Questo fervore culturale fu alimentato anche dalla rinascita delle chiese tropeane, alle quali si aggiunse l’apertura di un Collegio della Compagnia di Gesù sul finire del secolo (che accoglierà nelle sue sale le riunioni dell’Accademia degli Affaticati). Grazie a Monsignor Tommaso Calvo, vescovo dal 1593 al 1613 ed al forte connubio tra famiglie nobiliari e clero, venne istituito il Monte di Pietà, fondato sulla donazione del patrizio Scipione Galluppi.

Dalla crisi del Seicento alla municipalità del Settecento
Nonostante la ripresa del secolo precedente, anche Tropea risentì
della crisi economica che nel ‘600 investì tutta la Calabria. I contadini abbandonarono i casali per sfuggire alle tasse, provocando un nuovo calo demografico. E’ ovvio che la produzione locale di vino iniziò a risentire il peso del clima che si era creato. Le uniche produzioni locali a resistere furono quelle di seta (ma di bassa qualità rispetto al passato), di olio e di sacchi di fronda. Per fortuna, l’Università tropeana era ormai matura per contrastare le avversità che a quelle di carattere economico si vennero ad aggiungere anche sul piano poitico. Più volte infatti (nel 1612, 1620, 1637 e 1643) Tropea e i suoi casali rischiarono di essere infeudati, essendo stati messi in vendita dal vicerè per recuperare fondi sulle rendite statali, ed in tutte quelle occasioni Tropea riuscì a mantenere i propri diritti demaniali. Questa compattezza dimostrata all’esterno non esisteva invece nella politica interna di Tropea, dove – a causa dei vari poteri sovrapposti – ai conflitti tra potere locale e potere regio si aggiunsero anche i conflitti tra potere ecclesiastico e potere politico e, all’interno di quest’ultimo, tra aristocrazia nobiliare e borghesia emergente: nel 1613 il Regio Capitano interruppe con gente in armi una cerimonia religiosa in cui il Decano stesso subì un’archibugiata; nel 1624, dopo insostenibili periodi di tensione sfociati in episodi di violenza, il seggio della nobiltà si separò nuovamente dal seggio del
popolo, superando di fatto le decisioni prese nei Capitoli del 1567. La crisi fu completa quando, nel 1647-48 (sulla scia del moto napoletano di Masaniello) partì un moto rivoluzionario ad opera del marinaio di Parghelia Leonardo Drago. Ovviamente l’iniziativa, che trovò molti sostenitori anche negli altri casali, fu sedata su intervento del Vicario generale D. Francesco Carafa inviato dal Vicerè. Tra il 1674 e il 1678, durante la Guerra di Messina, i francesi istituirono a Tropea una Prefettura, composta da un Capitano con 12 commilitoni, per presidiare la piazzaforte tropeana e difendere la costa da possibili attacchi spagnoli. I Patrizi si erano intanto dati una nuova sede per il loro seggio, erigendo un Sedile chiamato di Port’Ercole, in onore del mitico fondatore della città.
Anche gli Onorati tentarono di ergere una loro sede, che doveva chiamarsi Sedile Africano sull’antico edificio della Corte baiulare, ma quest’opera non fu mai realizzata. La tranquillità di Tropea fu però minata nuovamente dall’interno nel 1722, con dei moti interni guidati da Orazio Falduti, un subalterno del Tribunale Provinciale appartenente al ceto medio. Questo avvenne perchè in quel periodo l’Imperatore Carlo VI d’Austria donò trecentomila ducati alle Università del Regno e
tra i casali si sparse la voce che un’ordinanza della Sommaria del 1720 escudeva da tali benefici coloro che campavano alla giornata. Partì una rivolta da Spilinga e si concluse con una petizione presentata da tutti i casali. I casali pretendevano di potersi rappresentare da sé, pagando i tributi direttamente al tesoriere della Regia Camera, ed inoltre di non dover più ricevere le “visite” dei soldati tedeschi. Poichè la nobiltà si rifiutava di ascoltare le richieste dei villani, questi posero d’assedio Tropea, svuotando i mulini e lasciando le fontane all’asciutto. Il Preside di Calabria Ultra chiese aiuto al Vicerè, che inviò il generale Vallis con due galere cariche di tedeschi a Tropea.
Quando questi arrivò in città la rivolta era ormai terminata e quindi si limitò a punire alcuni responsabili (due furono impiccati alla marina e uno, troppo giovane, venne imprigionato). Il Vallis si meravigliò della situazione trovata, poichè un sistema di controllo così ampio non era presente in nessuna altra parte del regno e applicò provvedimenti duri proprio contro i nobili, che dovevano d’ora in poi esercitare gli antichi diritti, meritati dai loro padri col sudore, non da padroni ma da padri; oltre ai nobili ed ai civili anche la plebe veniva ammessa al governo dell’Univeristas con due propri rappresentanti. Le conseguenze della rivolta si ripercossero sulla già disastrata economia della città. Nel 1764 un carestia portò il Parlamento tropeano ad obbligare i nove maggiori benestanti di Tropea a contrarre un debito di ingenti somme da privati e luoghi pii per salvare dalla fame il popolo. Questi personaggi riuscirono a far superare la crisi nera e la fame ai tropeani, ma patirono a lungo le conseguenze di quell’indebitamento (i patrizi erano F. di Francia, M. Barone, D. Pelliccia, F. D’Aquino e F. Fazzari; i civili erano D. Massara, A. Cutuli, G. Antonio Campesi e A.
Arena). La presenza di borghesi tra i nove più ricchi della città non deve destar stupore, nel secondo ceto infatti erano ormai presenti avvocati e dottori, notai e professionisti. Nel General Catasto di Tropea degli anni Sessanta del Settecento primeggiavano anche sui nobili due borghesi. Non solo, la carriera ecclesiastica veniva intrapresa sempre più da uomini non appartenenti alle famiglie nobili. Proprio per la massiccia presenza di borghesi tra il clero, che non risparmiavano le proprie invettive ai nobili, si arrivò ad un nuovo scontro con la vertenza agitata nella Real Camera di S. Chiara tra il 1782 e il 1794, in cui i nobili pretendevano di poter avere trattamenti simili ai canonici durante i pontificali. Le famiglie borghesi d’altronde, anche quelle dei paesi vicini (come i Massara a Zaccanopoli o i Meligrana a Parghelia) si stavano arricchendo anche reinvestendo i patrimoni accumulati nell’acquisto di terre. Si crearono inoltre delle dipendenze, simili a rapporti di servitù, tra questi due ceti e la gente del popolo minuto che, per esercitare il proprio mestiere o per aver dimora, doveva prendere in affitto i bassi e i magazzini dei palazzi delle famiglie nobili e borghesi. Sul finire del secolo, grazie anche alla crescita del ceto borghese, molti furono i giovani studenti tropeani che si recavano a Napoli per accrescere la propria cultura. Tra questi giovani studenti vi erano anche Giuseppe Melograni grande geologo e mineralista, Antonio Meligrana futuro Vicario Generale della Diocesi di Tropea nei primi anni dell’Ottocento, ed il suo amico Pasquale Galluppi con il quale Meligrana condivise un appartamento in affitto nella capitale e che si distinguerà su tutti i personaggi illustri di Tropea per l’importanza dei suoi studi filosofici. Il Galluppi fu allievo alla scuola privata fondata a Tropea da Giuseppe La Ruffa, studioso formatosi nel ricostituito Seminario tropeano assieme al futuro abate Antonio Jerocades e al futuro Decano Saverio Polito. Fu in quell’ambiente aperto agli influssi culturali provenienti da ogni parte d’Europa che nel comprensorio di Tropea mise radici il movimento massonico. La Massoneria penetrò a tal punto che Massoni o Filomassoni furono ritenuti addirittura alcuni vescovi di Tropea. Lo sconvolgimento culturale di fine secolo fu accompagnato da altri due sconvolgimenti, si tratta del terremoto del 1783 e la proclamazione della municipalità nel 1799. Paradossalmente, l’evento politico “scosse” i patrizi più dell’evento naturale!
Anche se per qualche tempo i nobili riuscirono a ristabilire l’antico regime, l’avanzata delle nuove idee era ormai irrversibile anche per Tropea.

stampa4Il Risorgimento
Il XIX secolo si aprì con la definitiva chiusura di un’istituzione secolare: nel 1800 il Sedile dei Nobili di Portercole venne abolito, ed anche il Tribunale Conservatore della Nobiltà del Regno riconobbe questa chiusura nel 1803. Con l’inizio del decennio francese il Sedile divenne nel 1806 il luogo di riunione per l’amministrazione cittadina, sede di governo nel distretto di Monteleone.
Nell’anno seguente venne riconosciuto a Tropea il diritto di controllare i comuni del circondario (Alafito, Arzona, Barbalaconi, Brivadi, Carciadi, Caria, Ciaramiti, Drapia, Garavadi, Mesiano, Moladi, Orsigliadi, Pernocari, Persinaci, Pizzoni, Ricadi, Rombiolo, Scaliti, Spilinga, Zaccanopoli,
Zungri); nel 1809 venne indicata tra i luoghi dove stabilire i burò di controllo delle direzioni doganali e sede di sindacato per la gente di mare; nel 1810 servì come punto strategico per le seicento navi utilizzate da Gioacchino Muràt nel tentativo (fallito) di conquistare la Sicilia e nel 1811 fu confermata capoluogo. Pare che quando Muràt passò per Tropea gli venissero offerte dal sindaco Ignazio Scrugli le chiavi della città, ma egli (pur ringraziando per la calorosa accoglienza) le rifiutò, forse a causa delle precedenti manifestazioni antifrancesi nate in seno ad una riunione di una vendita carbonara presieduta da un furiere. Il Concordato del 1818, col riordino dello status della Chiesa, decretava che il vescovo Greardo Gregorio Mele non avrebbe avuto dei successori nella diocesi di Tropea, che veniva così accorpata a quella di Nicotera. Eppure dopo il Concordato la chiesa tropeana trovò vitalità grazie alla presenza di Vito Michele Di Netta (Vallata 1787 – Tropea 1849), padre superiore dei Redentoristi di S. Alfonso de’ Liguori giunti a Tropea dal 1790 per evangelizzare l’intero territorio. Secondo L’Osservatore Romano Padre Di Netta svolse con “eroica virtù” il proprio compito, in quel periodo di profondo cambiamento, ed oggi è in corso il processo per sua la
beatificazione. Il suo operato, rivolto alle anime, fu completato in quegli anni dal vescovo di Sinope Luigi Vaccari, coadiutore del vescovo di Nicotera-Tropea che dal ’72 si ritirò ad Acri per malattia: il Vaccari avviò importanti lavori per la Cattedrale, incoronò il quadro della Madonna di Romania, si occupò del Seminario e fondò un Asilo Infantile. Per ciò che riguarda le vicende politiche di quegli anni, esse sono meglio comprensibili grazie all’operato di Pasquale Galluppi, che oltre ai trattati filosofici si occupò anche di politica del Mezzogiorno. Ad ogni modo, in questo secolo la città di Tropea raggiunse nuovamente, tra altalenanti variazioni, delle dimensioni consistenti (che dai 4.277 abitanti di inizio secolo la portarono a oltre 5.000 abitanti di fine secolo, sfiorando più volte addirittura le seimila unità). A questa nuova rinascita si accompagnò una crescente presenza di laboratori artigiani e piccole fabbriche per la lavorazione del cotone e del cuoio. Con l’unità d’Italia si diede risposta anche alla necessità di collegamenti che la città aveva e, tra la fine dell’Ottocento e l’inizio del Novecento, vennero realizzate strade e rotaie che permisero a Tropea di non rimanere isolata. Dopo il terremoto del 1905 venne affrontato anche il problema della costruzione di un porto nella zona marina e delle strade che lo collegassero con il centro e la stazione ferroviaria (i lavori vennero avviati negli anni seguenti). Alle opere pubbliche, purtroppo, si accompagnò anche la triste demolizione del castello. Tra le figure politiche di spicco dell’Ottocento ci furono i sindaci Carlo Gabrielli (che si occupò dell’organizzazione amministrativa), Ignazio Toraldo e Nicola Scrugli (sotto l’amministrazione dei quali sorse l’Asilo Infantile e venne cambiata la toponomastica della città), e infine Napoleone Scrugli (che oltre a ricoprire la carica di sindaco fu vice ammiraglio dello Stato maggiore della Real Marina ed il primo cittadino tropeano ad esser eletto deputato).
Proprio grazie a Napoleone Scrugli la flotta Borbonica passò intatta al Regno d’Italia: egli infatti,
quando Garibaldi giunse a Napoli, provocando la fuga a Gaeta di Francesco II, suggerì di sostituire la bandiera borbonica col tricolore!

Tropea, veduta aerea - foto Libertino
Tropea, veduta aerea – foto Libertino

COME RAGGIUNGERE TROPEA

In Automobile
Autostrada A3 Salerno – Reggio Calabria.
Uscita di Pizzo Calabro (per chi arriva da Nord).
Proseguendo per Pizzo, Vibo Marina, Briatico, Zambrone, Parghelia, Tropea.
Uscita Rosarno (per chi arriva dal Sud).
Proseguendo per S. Ferdinando, Nicotera, Joppolo, Ricadi, S. Domenica di Ricadi, Tropea.

In treno
La stazione di Vibo Valentia Pizzo è la stazione più vicina per raggiungere Tropea.
Tutti i Treni provenienti sia da nord che da sud si fermano in questa stazione.
Anche Tropea possiede la stazione ferroviaria, nella quale si fermano solamente treni locali provenienti da Lametia Terme e Reggio Calabria.
Servizio Navetta a pagamento a richiesta

In aereo
Per raggiungere Tropea in aereo, si consiglia di atterrare all’aeroporto di Lamezia Terme, che si trova a circa 55 km e poi prendere un taxi.
Servizio Navetta a pagamento a richiesta.

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Salvatore Libertino
Fotoreporter, editore e proprietario della testata Tropeaedintorni.it, è giornalista pubblicista iscritto all'albo professionale dell'Ordine dei giornalisti della Calabria nell'elenco pubblicisti.