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Mariano Meligrana

Autore de’ Il ponte di San Giacomo

Antropologo di Parghelia

«Mariano Meligrana con i suoi scritti e con la sua vita non ha affermato “ego sum”, ma si è continuamente posto come “ego possum”, come tensione a un dover essere continuamente ricercato e mai racchiuso in un presuntuoso orgoglio di possesso, telos che invera l’esistenza sottraendola alla banalità, all’inautenticità, al rumore». Così Luigi M. Lombardi Satriani in uno dei tanti suoi scritti ha ricordato la figura dell’intellettuale e antropologo di Parghelia, prematuramente scomparso nel 1982, all’età di soli quarantasei anni.
Nato a Napoli il 30 giugno del 1936, Mariano Meligrana, dopo una prima formazione a Parghelia e a Tropea, frequenta, sempre a Napoli, il Liceo e l’Università, conseguendo la laurea in Giurispudenza nel 1959. Negli anni della formazione coltiva interessi letterari e filosofici che sfociano, nel 1958, nella fondazione, con Luigi M. Lombardi Satriani, della rivista Spirito e Tempo, divenuta, poi, Voci e pubblicata fino al 1962. Oltre a numerosi studi specifici si segnala il volume, scritto sempre in collaborazione con Luigi M. Lombardi Satriani, Diritto egemone e diritto popolare. Gli studi di antropologia religiosa di Mariano Meligrana si sviluppano su due temi fondamentali: la figura di Cristo e l’ideologia della morte. Per l’antropologo di Parghelia, la figura di Cristo costituisce il fondamento dell’etica popolare e conferisce al mondo contadino la parola poetica, consentendo alla verità di emergere, nonostante i condizionamenti sociali.

Tuttavia, la sua opera maggiore rimane la ricerca sulla filosofia popolare della morte, presente nell’affascinante volume Il Ponte di San Giacomo, scritto anch’esso a quattro mani insieme a Lombardi Satriani e vincitore, nell’anno della sua pubblicazione (1982), del prestigiosissimo premio Viareggio per la Saggistica, anche se la sorte volle che Meligrana non venisse mai a conoscenza dell’attribuzione del prestigioso premio.
La ricerca condotta dai due antropologi, presente nelle pagine dell’ormai famosissimo saggio, risulta essere ancora di grande attualità. Nel libro si cerca di delineare i luoghi espliciti del mondo contadino meridionale in cui si rifugia e si affronta la morte. Si cerca quindi di delineare la cultura della morte intesa come tematizzazione, strategia di superamento dell’evento luttuoso, sistema di relazione con i morti, configurazione del mondo ultraterreno e, nello specifico, in un capitolo viene trattato il “caso” Natuzza Evolo: la mistica di Paravati che si costituisci come tramite con l’aldilà. La morte ritorna sempre come spettro, presenza cangiante che diffonde angoscia e la rimozione individuale o collettiva di essa non è mai operazione definitivamente vincente. In tal senso l’antropologia trova la sua funzione di parola critica.
Nel 2000, alla memoria del grande studioso è stata intitolata una strada nel comune di Parghelia, paese dove trascorse buona parte della sua esistenza.
«[…]Se noi siamo essenzialmente domanda – ha scritto Lombardi Satriani – o, come ha detto Hölderlin, colloquio, Mariano Meligrana è cifra critica; termine di un rapporto ininterrotto; punto di riferimento, non meno saldo solo perché silenzioso, nel nostro pensiero, nella nostra sensibilità, nel nostro agire; memoria. Memoria, dunque, e per ciò stesso[…] vita. Perché la datità della morte sia sconfitta e l’amore – nonostante il silenzio muto, privazione e ferita continua – possa ridiventare colloquio».

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Redazione
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