Fede e dintorni

Nell’atomica di Nagasaki un medico santo

Rubrica quotidiana a cura di P. Salvatore Brugnano

Storie belle… per vivere meglio

Nell’atomica di Nagasaki un medico santo.

– Il medico “santo” di Nagasaki: è la bella storia di Paolo Takashi Nagai, un giovane medico giapponese convertito al cristianesimo. Testimone vero nella sua professione di medico, imparò ad aiutare i poveri, innamorandosi della carità fatta agli ultimi.
– Quando ricevette il battesimo, il 9 giugno 1934, Takashi Nagai dovette decidere il suo nuovo nome cristiano. Scelse di chiamarsi Paolo come Paolo Miki, uno dei primi coraggiosi gesuiti giapponesi martiri, la cui storia lo aveva toccato vivamente. Infatti quando l’inquisitore buddista gli aveva chiesto di abiurare assicurandolo che se avesse calpestato le icone di Gesù e della Vergine avrebbe avuto salva la vita, gli rifiutò per amore di Cristo e così fu crocifisso nel 1597 su una collina appena fuori Nagasaki insieme ad altri 25 compagni.
– Nell’esplosione nell’atomica di Nagasaki morirono 70.000 persone: egli sopravvisse e trovò la risposta con un sorriso: «Non ci hanno voluti in Paradiso: siamo stati bocciati agli esami di ammissione».

Una famiglia di cristiani “nascosti”.
♦ A parlargli di padre Paolo Miki e di quella storia drammatica e struggente era stata Maria Midori Moriyama, la ragazza cristiana che pian piano lo condusse alla fede cattolica. Lui, educato nello scintoismo ma poi diventato ateo e convinto materialista. Takashi era venuto a Nagasaki per studiare medicina all’Università, trovò una stanza in affitto nella casa della famiglia Moriyama, e lì aveva conosciuto Maria.
♦ I genitori della ragazza erano discendenti diretti di Sonzaemon, uno dei capi dei “cristiani nascosti” che a partire dal XVII secolo custodirono la fede per sette generazioni, isolati dal resto del mondo e dalla Chiesa universale, dopo che tutti i missionari erano stati uccisi o erano fuggiti o avevano abiurato.
♦ I fedeli si trovavano a pregare di nascosto, nel bosco; non essendoci più preti i laici si organizzarono da sé, chi battezzava i bambini, chi teneva il catechismo. Il primo missionario ricomparve in quella landa due secoli dopo, nel 1865: non poteva credere ai propri occhi, oltre tremila cristiani erano sopravvissuti a tutte le persecuzioni.
♦ Quando si stabilì a casa dei discendenti di Sonzaemon, Takashi non conosceva questa storia; studiava sodo, giocava a pallacanestro e scriveva poesie, era un bel ragazzo e credeva di aver chiuso per sempre con la religione. Le sue certezze iniziarono a traballare dopo la morte della madre; cominciò a leggere I pensieri di Pascal.

La conversione e il matrimonio.
La vigilia di Natale del 1932 Maria lo invitò alla messa di mezzanotte nella cattedrale di Nagasaki, la chiesa più grande dell’Asia orientale con le due guglie gemelle alte 64 metri. Costruita con le offerte di pescatori e contadini era il simbolo della rinascita della comunità cattolica dopo tante tribolazioni. Takashi rimase sconvolto dai canti e dalle preghiere dei fedeli che affollavano la cattedrale. «Sentii la presenza di Qualcuno che ancora non conoscevo», ricorderà.
  La notte seguente Maria stette per morire. Takashi diagnosticò subito il male, un’appendicite acuta, la portò tra le sue braccia in ospedale, sotto la neve; fu operata e guarì in fretta.
  Nell’agosto 1934, innamoratissimi, si sposarono. Lei era presidente della società femminile, lui si impegnò nella cura dei poveri con la San Vincenzo. Entrò in contatto anche con un francescano polacco, Massimiliano Kolbe che aveva aperto un convento a Nagasaki. Ignari, entrambi, del destino di morte e di santità che li attendeva.

Il medico e l’atomica (forse) sui cattolici.
♦ Paolo Takashi, per una malattia dell’orecchio destro (segni di meningite) che lo rese parzialmente sordo, non potè praticare la medicina e accettò di orientarsi nella ricerca in radiologia. Si specializzò in radiologia. L’esposizione ai raggi x lo fece ammalare di leucemia, secondo la diagnosi nel giugno 1945. Ma quando scoppiò la guerra si prodigò in ospedale a soccorrere i feriti che affluivano da tutta la regione.
♦ L’8 agosto abbraccia per l’ultima volta sua moglie, prima di andare in città per una guardia medica notturna. Il giorno seguente, 9 agosto 1945, alle 11.02 del mattino, la bomba atomica esplode a 500 metri d’altezza, proprio di fronte alla cattedrale, che sarà completamente distrutta. I morti sono 70 mila.
Paolo Takashi rimane ferito mentre si trova in ospedale ma trova la forza di reagire per medicare le vittime di quell’inferno.
♦  Egli si trovava nel Reparto di Radiologia dell’Università al momento esatto dello scoppio alle ore 11:02, scrisse: «Una mano possente e invisibile sconquassa la stanza: sedie, armadi, scarpe, vestiti, tutto mi turbina attorno, ricade con spaventoso fragore, mi si fracassa addosso. Scaraventato a terra, soffoco contro una densa polvere che penetra nelle narici, ma mi sforzo di tenere gli occhi aperti per guardare fuori dalla finestra. Tutto è scuro».
Scrive uno storico: “Secondo il comando militare alleato, la bomba atomica era una necessità, perché non si trattava di piegare una resistenza armata, ma l’idea molto viva tra i giapponesi che dio era dalla loro parte…. L’atomica avrebbe dovuto scalfire questa certezza perché infliggeva un colpo mortale allo shintoismo artificialmente trasformato in ideologia militarista.
Invece, continua l’analista, la bomba più che il cuore della religione giapponese colpì in pieno il quartiere cattolico di Nagasaki, il più importante e numeroso centro della Chiesa in estremo oriente La comunità cattolica contava allora più di 12.000 fedeli. Perirono quasi tutti. L’epicentro dell’esplosione era stata proprio la loro cattedrale che, tra l’altro, in quel momento era affollata di fedeli in coda davanti al confessionale per prepararsi alla festa dell’Assunta”.
♦  La casa di Nagai si trovava a pochi decine di metri dalla chiesa. Quando il professore poté ritornarvi trovò solo cenere e ossa. Da radiologo esperto non ebbe difficoltà a individuare i resti di sua moglie Midori. Tra le ossa della mano brillava qualcosa: era una corona del rosario e un crocifisso. Mise tutto in un secchiello e mentre, triste ma non depresso si avviava verso il cimitero, gli parve di sentire nel tintinnare del rosario e del crocifisso la voce della sposa che gli infondeva speranza.

  Nei giorni successivi Takashi e i colleghi sopravvissuti si prodigarono senza sosta per alleviare le sofferenze dei loro concittadini colpiti dal bombardamento. Poi la scoperta più dolorosa, anche la sua amata Maria è morta: di lei sotto le macerie della casa, ritrova solo pochi resti e il suo rosario. Le promette di dedicare agli altri il poco tempo che gli resta da vivere: «In ricordo di te, per amore di te… che mi hai portato all’amore di Cristo». Ma intanto si domandava perché lui fosse sopravvissuto e sua moglie no. Non trovò altra risposta che questa, che è un sorriso: «Non ci hanno voluti in Paradiso: siamo stati bocciati agli esami di ammissione».

Il suo tramonto nella luce di Cristo.
  Gli ultimi anni li passò bloccato a letto, pregando, scrivendo e ricevendo visite. Vennero a trovarlo l’imperatore Hirohito e un inviato di Papa Pio XII, il cardinale Norman Thomas Gilroy.
Grazie a una donazione fece piantare mille alberi di ciliegio per trasformare quella terra devastata in una “collina in fiore”.
  Nel suo testamento spirituale per insegnare ai figli la mitezza racconta la storia del martirio di due genitori cristiani e del loro bambino: «Tranquillamente si scusarono del disturbo che avevano recato al funzionario, gli offrirono il pasto di riso nuovo e perfino i nuovi sandali di paglia. E poi obbedienti si fecero bruciare».
  Paolo Takashi morì il primo maggio 1951. Ai funerali assistettero ventimila persone. Tutta la città di Nagasaki osservò un minuto di silenzio nel momento in cui suonarono le campane di tutti gli edifici religiosi.
  Un paio di anni prima, di fronte ai tanti che già lo trattavano come un santo, disse: «La luna che illumina il cielo notturno non è che un freddo ammasso di materia che riflette la luce del sole. Il sole è Gesù. Anch’io rifletto soltanto un po’ della sua luce. Senza Dio, sarei soltanto un servo inutile».

(fonte: L’Osservatore Romano, 16 novembre 2019 e altro web)

Straordinaria la vicenda scientifica e umana del medico Giapponese Takashi Paolo Nagai (1908-1951). Fu coinvolto personalmente nello scoppio della atomica di Nagasaki, anche a livello familiare: la moglie morì nello scoppio e a lei, che lo aveva aiutato nella conversione, promise di dedicare agli altri il poco tempo che gli restava da vivere: «In ricordo di te, per amore di te… che mi hai portato all’amore di Cristo». Rimane un vero «testimone» del XX secolo. Non morì nell’esplosione: egli trovò la risposta con un sorriso: «Non ci hanno voluti in Paradiso: siamo stati bocciati agli esami di ammissione».

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