Attualità

Salvati nella cupola di San Gioacchino

Rubrica quotidiana a cura di P. Salvatore Brugnano

Storie belle… per vivere meglio

026a-SGioacchino Salvati nella cupola
di San Gioacchino.

Domani è il giorno della Memoria, che ricorda la Shoah, lo sterminio degli Ebrei ad opera dei nazisti tedeschi. – La storia di oggi racconta una straordinaria azione caritativa di salvataggio di perseguitati (ebrei e non) a Roma presso la chiesa di San Gioacchino, officiata dai Redentoristi. La storia, difficile a credersi se non si fossero avuti testimoni diretti, è durata dal 25 ottobre 1943 al 7 giugno 1944. I salvatori sono stati dichiarati Giusti delle Nazioni.

Roma – Quattro persone audaci e generose – un prete redentorista P. Antonio Drèssino, una suora, un ingegnere e una studentessa, sostenuti da gente senza nome – rischiarono la pelle per salvare la vita di decine di fuggiaschi: ebrei, perseguitati politici, renitenti alla leva.
In un primo tempo, alcuni di questi ricercati da tedeschi e fascisti furono accolti nella sala cinematografica; qualcuno, travestito da prete redentorista, perfino nelle camere dei religiosi. Ma quando, il 2 novembre 1943, iniziarono le minacciate incursioni di soldati tedeschi nelle chiese e nei conventi, fu deciso che lì non potevano più rimanere. Come e dove continuare a nasconderli e a proteggerli?
L’ingegner Pietro Lestini, che conosceva tutti gli ambienti della chiesa, progettò l’unica soluzione possibile: rinchiudere tutti nello spazio, ristretto e senza luce, tra la volta della chiesa e il tetto. Ma la deliberazione spettava soltanto ai rifugiati. La maggior parte di loro accettarono l’idea. E alle cinque del terzo giorno del mese dei morti la muratura dell’unica porta d’ingresso era terminata. Alle sei e venti, accanto allo stesso giorno, nel proprio diario, uno di loro scrisse: “Murati”.
Lì dentro, fra indicibili disagi e privazioni, vissero, ogni giorno, dalla dieci alle quindici persone, avendo come unico mezzo di contatto col mondo esterno, e soltanto di notte, una finestra rotonda apribile al centro del timpano, a 50 metri da terra. Attraverso quella finestra passavano uomini e cose: cibo, vestiti, lettere, giornali, passatempi e anche rifiuti organici.
In quel sottotetto furono salvati anche tre ebrei: Arrigo Finzi, che poi divenne professore al Technion di Haifa; Gilberto Finzi, poi medico psichiatra a Roma; e il quindicenne Leopoldo Moscati.
A causa di quest’opera così benefica e generosa, il Governo israeliano ha insignito del titolo di “Giusto tra le Nazioni” il redentorista p. Antonio Dréssino, parroco di San Gioacchino; la suora Margherita Bernès (delle Figlie della Carità con sede proprio difronte alla chiesa), addetta all’approvvigionamento del cibo e del vestiario; l’ingegner Pietro Lestini, organizzatore e responsabile delle operazioni logistiche; la studentessa Giuliana Lestini, addetta ai rapporti con le famiglie dei reclusi romani.

Bibbia. Lettera di Giacomo.
L’uomo viene giustificato in base alle opere e non soltanto in base alla fede. Così anche Raab, la meretrice di Gerico, non venne forse giustificata in base alle opere per aver dato ospitalità agli esploratori ebrei (li aveva nascosto alle guardie che li cercavano) e di averli rimandati per altra via? Infatti come il corpo senza lo spirito è morto, così anche la fede senza le opere è morta. (cap.2, 24-26).

 P. Antonio Dréssino redentorista, parroco della chiesa di S. Gioacchino in Roma durante la seconda guerra mondiale -  La fede se non ha le opere, è morta in se stessa, è senza calore. - Per salvare i perseguitati destinati allo sterminio, molti hanno messo in gioco la propria vita.
P. Antonio Dréssino redentorista, parroco della chiesa di S. Gioacchino in Roma durante la seconda guerra mondiale – La fede se non ha le opere, è morta in se stessa, è senza calore. – Per salvare i perseguitati destinati allo sterminio, molti hanno messo in gioco la propria vita.

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