Fede e dintorni

Da schiava a grande testimone di carità cristiana

Rubrica quotidiana a cura di P. Salvatore Brugnano

Storie belle… per vivere meglio

Da schiava a grande testimone di carità cristiana.

– Trasformò il dolore in un canto a Dio. La storia di Julia Greeley, che da schiava divenne una grande testimone della carità cristiana.
– Julia Greeley (1833-1918) era una donna schiava nera americana , in seguito liberata dalla legislatura del Missouri. Oggi è conosciuta come l’angelo della carità di Denver a causa del suo aiuto a innumerevoli famiglie in povertà.
– All’età di cinque anni, il suo occhio destro fu ferito da un padrone di schiavi mentre frustava sua madre. Questa deturpazione le rimase per il resto della sua vita, tanto da essere chiamata da tutti “Julia con un occhio solo”.
– Ma il Signore l’aiutò a trasformare la sofferenza in canto e ad essere una persona luminosa, col cuore pieno d’amore, umile e semplice, che trovava costantemente pace e gioia nell’aiutare le persone ancora più povere di lei. – Nel 2016 l’arcivescovo di Denver, monsignor Samuel Joseph Aquila, ha aperto la sua causa di canonizzazione.

Vita in schiavitù .
Hannibal, città del Missouri, 1840 circa. – Nella misera baracca, la bimba malata invocava la mamma con la vocina stanca. La donna, troppo povera per chiamare un medico, cercava di darle almeno il conforto della sua presenza, accarezzandola con tenerezza e ponendole pezzuole bagnate sulla fronte, nel tentativo di abbassare la febbre. La madre si sentiva il cuore colmo d’angoscia per la salute della piccina e anche perché sapeva di rischiare l’ira del sorvegliante.
Nella piantagione stavano raccogliendo il cotone, ma lei era corsa al capezzale della figlia, trascurando per un momento il lavoro. D’un tratto, la porta si spalancò con violenza e un omaccio si precipitò nella stamberga, vomitando insulti. Si buttò sulla donna e prese a frustarla senza pietà.
Mentre la povera mamma cadeva a terra sotto la furia dei colpi e larghi squarci insanguinati si aprivano sul suo corpo, sua figlia, con i grandi occhi innocenti sbarrati e pieni di terrore, singhiozzava in modo sempre più convulso. Con gesto imprevedibile, l’aguzzino colpì la bambina sul visetto con una scudisciata, distruggendole per sempre un occhio.
Questo episodio di brutalità segnò Julia Greeley con le stigmate del dolore. Il suo volto rimase sfigurato; l’occhio, divenuto cieco, continuò a perdere siero, facendola patire per tutta la vita.

Un giornalista di Denver, rimasto anonimo, nel 1913 raccolse per la cronaca locale alcune informazioni date dalla stessa Greeley, cinque anni prima della sua morte. Ella ricordava di essere nata «nella piantagione di Samuel Carwell, che allora era una delle più grandi del Missouri.
Da bambina fu venduta al generale Bernard Pratt di St Louis. Ella non seppe mai cosa accadde a suo padre e suo madre, che erano molto vecchi quando lei fu tolta a loro». Forse non erano così anziani, ma solo ingrigiti dal dolore nel vedersi strappare la figlia, una bambina con un occhio cieco e dolente, dopo il tragico episodio successo ad Hannibal.

La vita dopo la libertà: battesimo e vita di fede.
Alla fine della guerra civile, Julia venne liberata. Non più come schiava, ma come donna libera, si sostenne lavorando presso diverse famiglie, come cuoca, bambinaia, lavando i pavimenti.
Per lei l’incontro più importante di tutta la sua vita fu proprio quello con una datrice di lavoro, Julia Pratte Dickerson, fervente cattolica, che le fece il dono più grande, quello di comunicarle la propria fede. Julia Pratte Dickerson sposò William Gilpin. Quando il marito fu nominato governatore del Colorado, la coppia lasciò St Louis e si trasferì a Denver. Anche Julia Greeley si trasferì a Denver, dopo essersi assicurata che la signora Gilpin l’avrebbe assunta. E così lavorò per i Gilpin dal 1879 al 1883, nutrendo sempre molta riconoscenza e affetto per la signora Gilpin.

Nel 1880, a Denver, nella chiesa del Sacro Cuore, Julia fu battezzata sotto condizione perché i padri gesuiti che reggevano la parrocchia non potevano sapere se lei fosse già stata battezzata precedentemente.
Fu l’inizio di un cammino generoso nelle vie del Signore, vissuto con tanta semplicità e umiltà. Nel 1901 entrò a far parte del Terzo ordine regolare di San Francesco. Julia partecipava ogni giorno all’eucarestia e aveva un grande amore per il Sacro Cuore, per la Vergine Maria e per tutte le persone con cui veniva in contatto.
Nelle case in cui lavorava, era dolce come una mamma. Non ebbe mai delle paghe elevate, ma per sé tratteneva solo l’indispensabile e dava tutto il resto a chi era più povero di lei. Andava nei quartieri più miseri della città, pieni di immigrati giunti da varie parti d’Europa, anche dall’Italia, per rendersi conto delle necessità delle persone e dare una mano.
Si recava poi dalle famiglie benestanti e chiedeva elemosine per i suoi protetti. Dai poliziotti e dai pompieri ricevette varie offerte. Ricambiava con le sue preghiere e con riviste sul Sacro Cuore che ogni mese, puntualmente, consegnava, girando a piedi tutta la città.
Lei che da giovane era stata una schiava disprezzata, coperta di stracci, organizzava piccole feste da ballo per le ragazzine povere, dopo aver loro distribuito vestitini eleganti ottenuti in regalo da fanciulle benestanti. Insegnava così alle figlie dei ricchi la gioia della condivisione.

L’angelo della carità.
  Piena di delicatezza, portava di notte il suo aiuto ai bianchi nel bisogno, perché nessuno vedesse ed essi non dovessero vergognarsi di accettare l’aiuto da una nera.
Uscire da sola mentre la gente dormiva, in una città in cui il Ku Klux Klan era ben presente, comportava certo dei rischi, ma Julia non temeva per sé stessa e metteva la carità al primo posto.
Su un carretto rosso caricava carbone, viveri, coperte, cibo, abiti e usciva con ogni tempo. «È la mia gioia», diceva. – Una notte i pompieri la videro mentre trascinava da sola sulla schiena un materasso. Non doveva essere facile per lei addossarsi queste fatiche. Aveva le mani, i piedi e la schiena pieni di artriti dolorose, come si è scoperto recentemente alla riesumazione dei suoi resti.
Ma i testimoni ricordano che sorrideva sempre, con una dolcezza che le illuminava il viso.
Per i bambini aveva una particolare tenerezza: con loro giocava, cantava e rideva per le strade. Era felice di portarli a divertirsi nei parchi e diceva: «Questi sono i miei bambini».
  Uno dei suoi atti di gentilezza fu quando donò il proprio terreno di sepoltura per un uomo afroamericano che era morto: stava per essere gettato nella fossa comune, ma Greeley non permuse che ciò accadesse.
Perciò molte persone iniziarono a chiamarla “l’angelo di colore della carità” per la sua gentilezza. A causa di tutta la sua dedizione alle famiglie in povertà, fu ufficialmente denominata “Angelo della carità di Denver”, amata da cattolici e non cattolici.
Tuttavia, per tutta la vita, e a volte perfino in ambiti ecclesiali, incontrò pregiudizi e ostilità nate dal razzismo, ma, come scrive padre Burkey, «qualsiasi cattiveria le fosse scagliata contro, Julia tenne l’unico occhio valido fisso al suo Amato inchiodato alla croce e scelse di seguire il suo esempio nel non reagire, condividendo il suo amore con tutti.
Così in un mondo in cui abbonda ancora così tanto odio razziale, Julia offre a tutti un luminoso esempio di rispetto della dignità di tutti i nostri fratelli e sorelle».

La morte e la riconocenza per la sua opera.
Julia Greeley spirò a Denver il 7 giugno 1918, proprio nel giorno in cui si celebrava la festa del Sacro Cuore, che lei tanto aveva amato.
Essa fu una delle quattro persone che i vescovi statunitensi votarono per l’indagine ufficiale della sua beatificazione. Il suo nome fu aggiunto ad altri quattro afroamericani presi in considerazione negli ultimi anni.
Julia Greeley è anche la prima persona ad essere sepolta nella cattedrale di Denver da quando è stata aperta nel 1912. Nel 2016 l’arcivescovo di Denver, monsignor Samuel Joseph Aquila, ha aperto la sua causa di canonizzazione.
Quest’anno in America, presso Liguori Publications, è uscito il libro An hour with Julia Greeley (“Un’ora con Julia Greeley”), del padre francescano Blaine Burkey, autore inoltre di un libro più corposo, In secret service of the Sacred Heart. The life and virtues of Julia Greeley (“Nel servizio nascosto del Sacro Cuore. La vita e le virtù di Julia Greeley”).

(fonte: cf Wikipedia e L’Osservatore Romano 11 novembre 2020).

La straordinaria storia di Julia Greeley che da schiava divenne una grande testimone della carità cristiana sembra una bella favola: ma tutta vera.- Julia Greeley (1833-1918) era una donna schiava nera americana, in seguito liberata dalla legislatura del Missouri. Si convertì alla cattolicesimo e fu battezzata. Si aggregò al Terzo Ordine Francescano secolare e diffuse pace, gioia, amore in abbondanza. – Oggi è conosciuta come l’angelo della carità di Denver a causa del suo aiuto a innumerevoli famiglie in povertà. Alle famiglie povere bianche portava gli aiuti di notte, perché esse non avessero a vergognarsi di essere aiutata da una negra.

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