Attualità

BENEDIZIONE DEGLI ANIMALI NELLA PANDEMIA IN CORSO

Rubrica quotidiana a cura di P. Salvatore Brugnano

Storie belle… per vivere meglio

Benedizione degli animali nella pandemia in corso.

– Domenica 17 gennaio la Chiesa, pur dando precedenza alla liturgia domenicale e alla giornata annuale dell’incontro Ebrei-Cristiani, in qualche modo ha ricordato anche Sant’Antonio abate, il “padre dei monaci” e il protettore degli animali che, solitamente in questo giorno, vengono benedetti.
– Negli anni scorsi, gli allevatori allestivano in Piazza San Pietro una piccola fattoria con tanti animali, poi passava il Cardinale Vicario e li benediceva.
– Quest’anno, in tempo di pandemia, trascorso il giorno, ho provato a cercare sul web eventuali benedizioni fatte agli animali. Risultato: poco o niente, o al più benedizione via social per evitare assembramenti inopportuni.
– E così anche gli animali hanno preso parte alle conseguenze delle ristrettezze imposte dalla crisi del coronavirus.
– Che dire: una sofferenza che continua a mortificare la nostra vita sociale, ma anche una opportunità per riconsiderare la preziosità degli animali per l’intero ecosistema del nostro pianeta. – E il protettore degli animali? Starà guardando con paterno sorriso alle nostre difficoltà in questo deserto da Covid-19, ricordando a tutti quelle superate da lui nella sua vita.

Sant’Antonio abate e gli animali nella pandemia.
L’emergenza sanitaria sta condizionando la vita di ognuno di noi e stravolge, in molti casi, abitudini e tradizioni.
Il giorno della festa liturgica di Sant’Antonio Abate, ad esempio, è stato sempre scandito dalla benedizione degli animali e da momenti di convivialità.
Anche in Piazza San Pietro, negli anni scorsi, la Coldiretti offriva la possibilità di avvicinarsi agli animali per conoscerli meglio e accarezzarli. Una piccola fattoria che rendeva felici i bambini, ma anche un modo per onorare la figura di Sant’Antonio.  – E’ diventata consuetudine anche la Messa in mattinata nella Basilica di San Pietro e la benedizione degli animali al termine della celebrazione.

Quest’anno una benedizione via social.
La pandemia quest’anno non ha permesso di svolgere nel modo consueto la festa del Santo. Lunedì 18, nella Basilica Vaticana è stata celebrata la Messa, ma senza la benedizione degli animali.
La Copagri Lazio, Confederazione di produttori agricoli, ha offerto però la possibilità di una benedizione simbolica, attraverso i canali social, che è stata impartita nella Messa celebrata a Rieti da monsignor Benedetto Falcetti, parroco della chiesa di San Michele Arcangelo.
Nel corso di questa celebrazione, una delegazione della Copagri ha donato dei cesti contenenti prodotti agroalimentari, tipici della Regione Lazio e destinati a chi vive in condizione di necessità.

La visita di Mons. Delpini a due fattorie.
Sabato mattina 16 gennaio, l’arcivescovo di Milano, monsignor Mario Delpini, ha fatto visita a due cascine non lontane dal capoluogo lombardo.
La Coldiretti Lombardia ha reso noto che in queste fattorie “si allevano maiali, mucche da latte e da carne, che sono tra i settori più colpiti dagli effetti provocati dall’emergenza sanitaria con un calo dei prezzi riconosciuti alla stalla a fronte di un aumento dei costi di produzione”.
Secondo un report regionale, sono “più di 38 milioni gli animali della fattoria lombarda” e stando all’Istat, a livello nazionale, la pandemia ha avuto un impatto economico negativo: quasi due allevamenti su tre (63,6%) sono infatti in sofferenza.  (fonte: da Vatican news)

La devozione popolare in tempi normali
Nel giorno della memoria liturgica di Sant’Antonio abate, si benedicono le stalle e si portano a benedire gli animali domestici.
In alcuni paesi di origine celtica, sant’Antonio assunse le funzioni della divinità della rinascita e della luce, Lug, il garante di nuova vita, a cui erano consacrati cinghiali e maiali. Perciò, in varie opere d’arte, ai suoi piedi c’è un cinghiale.
Patrono di tutti gli addetti alla lavorazione del maiale, vivo o macellato, è anche il patrono di quanti lavorano con il fuoco, come i pompieri, perché guariva da quel fuoco metaforico che era l’herpes zoster.
Ancora oggi il 17 gennaio, specie nei paesi agricoli e nelle cascine, si usano accendere i cosiddetti “focarazzi” o “ceppi” o “falò di sant’Antonio”, che avevano una funzione purificatrice e fecondatrice, come tutti i fuochi che segnavano il passaggio dall’inverno alla imminente primavera.
Le ceneri, poi raccolte nei bracieri casalinghi di una volta, servivano a riscaldare la casa e, tramite un’apposita campana fatta con listelli di legno, per asciugare i panni umidi.
Veneratissimo lungo i secoli, il suo nome è fra i più diffusi del cattolicesimo. Lo stesso sant’Antonio di Padova, proprio per indicare il suo desiderio di maggior perfezione, scelse di cambiare il nome di Battesimo con il suo.
Nell’Italia Meridionale, per distinguerlo da lui, l’eremita della Tebaide è infatti chiamato “Sant’Antuono”.

Scelta di vita e tentazioni nel deserto.
Antonio nacque verso il 250 da una agiata famiglia di agricoltori nel villaggio di Coma, attuale Qumans in Egitto. Verso i 18-20 anni rimase orfano dei genitori, con un ricco patrimonio da amministrare e con una sorella minore da educare.
Attratto dall’ammaestramento evangelico «Se vuoi essere perfetto, va’, vendi ciò che hai, dallo ai poveri e avrai un tesoro nel cielo, poi vieni e seguimi», il giovane sull’esempio di alcuni anacoreti che vivevano nei dintorni dei villaggi egiziani, in preghiera, povertà e castità, Antonio volle scegliere questa strada. Vendette dunque i suoi beni, affidò la sorella a una comunità di vergini e si dedicò alla vita ascetica davanti alla sua casa e poi al di fuori del paese.
Dopo qualche anno di questa esperienza, in piena gioventù cominciarono per lui durissime prove.
Pensieri osceni lo tormentavano, l’assalivano dubbi sulla opportunità di una vita così solitaria, non seguita dalla massa degli uomini né dagli ecclesiastici. L’istinto della carne e l’attaccamento ai beni materiali, che aveva cercato di sopire in quegli anni, ritornavano prepotenti e incontrollabili.
Chiese dunque aiuto ad altri asceti, che gli dissero di non spaventarsi, ma di andare avanti con fiducia, perché Dio era con lui. Gli consigliarono anche di sbarazzarsi di tutti i legami e di ogni possesso materiale, per ritirarsi in un luogo più solitario.
Così, ricoperto appena da un rude panno, Antonio si rifugiò in un’antica tomba scavata nella roccia di una collina, intorno al villaggio di Coma.  Un amico gli portava ogni tanto un po’ di pane; per il resto, si doveva arrangiare con frutti della terra deserta.
In questo luogo, alle prime tentazioni subentrarono terrificanti visioni e frastuoni. Il diavolo gli appariva sotto forma di vari animali. Ma egli sempre lo vinceva.
In più, attraversò un periodo di terribile oscurità spirituale: lo superò perseverando nella fede, compiendo giorno per giorno la volontà di Dio, come gli avevano insegnato i suoi maestri.
Quando alla fine Cristo gli si rivelò l’eremita chiese: «Dov’eri? Perché non sei apparso fin da principio per far cessare le mie sofferenze?». Si sentì rispondere: «Antonio, io ero qui con te e assistevo alla tua lotta…».
(fonte: Antonio Borrelli in Santi e Beati.it).

Il 17 gennaio viene ricordato Sant’Antonio abate, il “padre dei monaci” e il protettore degli animali che, solitamente in questo giorno, vengono benedetti con belle iniziative e larga partecipazione di fedeli. Negli anni scorsi, gli allevatori allestivano a Roma in Piazza San Pietro una piccola fattoria con tanti animali, poi passava il Cardinale Vicario e li benediceva. – Quest’anno, in tempo di pandemia, la benedizione è stata affidata ai media social per evitare assembramenti inopportuni. – E così anche gli animali hanno preso parte alle conseguenze delle ristrettezze imposte dalla crisi del coronavirus. E il protettore degli animali? Avrà guardato con paterno sorriso alle nostre difficoltà in questo deserto da Covid-19, ricordando a tutti quelle superate da lui nella sua vita nel deserto.

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