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Il canto del cigno

E’ calato il silenzio sul PD vibonese; un macabro e spettrale silenzio: lo stesso che aleggia al lutto (che è quell’uso noto nei nostri paesi di visitare i parenti del defunto di turno, sostando per un congruo tempo al cospetto della bara), al lutto – dicevo – di un morto giovane e prematuro. Che se quando si spegne un ultra ottuagenario, sono quasi gli stessi parenti ad ordire ed autorizzare un sommesso chiacchiericcio, di fronte ad una morte inaspettata e prematura, tutti i visitatori pur non coinvolti emotivamente si compongono in un compito e rispettoso silenzio. Non so decidermi sul giudizio se il PD si sia spento di morte naturale dopo lunga agonia o se sia stato ammazzato in modo violento e prematuro dall’elefantiaca fame di potere di una oligarchia ottusa e stantia. Una cosa è certa: i giovani nomi sconosciuti come me, fuori dagli schemi e dalle inquadrature di corrente, che riconoscono come unico capo quello che portano sul collo, smettono di sperare. Fine di una breve avventura, del sogno irrealizzabile di un territorio che punta al suo rilancio valorizzando le disponibilità di intelligenze indipendenti e nuove. Ritorno in punta di piedi nella mia dimensione di persona della strada, con una famiglia, un lavoro e stop. Chiedo anzi venia se per un attimo mi sono illusa di sfidare i vari “liderini” confidando ingiustificatamente nella intelligenza e nella rabbia del popolo bue. I liderini mi hanno dimostrato che “sanno” prendere il popolo bue e portarlo di peso dove vogliono loro, movimentando in un batter d’occhio nei pochi giorni di tesseramento, anche una montagna di euro. Prendo atto. Solo, cerco ancora di figurarmi la scena kafkiana delle resse ai seggi del tesseramento per aderire ad un partito che ogni dato nazionale dà per scoppiato e in netto regresso. Non si preoccupi il giovane e ambizioso De Nisi: quando i liderini decideranno di riaprire il teatrino delle primarie, tutte le marionette accorreranno ubbidienti a fare il loro dovere per acclamarlo reuccio del feudo. Io, però, e i pochi altri come me vocati a rimanere persone della strada, non possiamo non stigmatizzare nel silenzio del nostro cuore una tale corsa all’accentramento del potere che poco si addice ad un regime democratico. Tanti e tali sarebbero i problemi di un travagliato territorio come il nostro che ad un giovane presidente, già sindaco di un grosso comune, voglioso di dare prova delle sue capacità amministrative, non rimarrebbe nemmeno il tempo per grattarsi il capo. Figurarsi se, coscientemente, accetterebbe anche la guida di un partito, che è comunque un impegno abbastanza oneroso. Senza scomodare codici etici e regolamenti, nati, si sa, per essere calpestati; dei quali, se fossero scaricabili su carta velina e con inchiostro profumato, si potrebbe saggiare l’unica vera efficacia nelle stanze da bagno.

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