Fede e dintorni

Offrire le proprie le lacrime

Rubrica quotidiana a cura di P. Salvatore Brugnano

Storie belle… per vivere meglio

Offrire le proprie le lacrime.

– L’ottava stazione della Via Crucis tradizionale presenta un gruppo di donne che piange sulle sventure di Gesù, carico della croce. E Gesù che rimanda loro il gesto di pietà ricevuto: «Non piangete su di me, ma piangete su voi stesse e sui vostri figli».
– C’è qualcosa che rimane alla pietà dell’uomo e della donna: offrire le proprie lacrime per stare vicino a chi soffre.
– C’è da piangere per coloro che sono nella tristezza, perché soffrono nel corpo e nello spirito; per coloro che sono perseguitati per la fede e la giustizia; per coloro che sono lontano dalla famiglia; per coloro che sono senza casa e senza lavoro.
– Tutto ciò può essere un servizio di consolazione e solidarietà: il ministero della consolazione attivo in ogni comunità parrocchiale. I ministri della consolazione sono laici – uomini e donne – che dimostrano atteggiamenti di cura e accompagnamento umano e spirituale dei sofferenti in una comunità. Diventano allora preziosi collaboratori di parroci e cappellani delle case di riposo nell’accompagnamento dei malati della parrocchia e delle Istituzioni sanitarie e socio-sanitarie.
– Essi sono la mano tesa della comunità a chi è colpito dalla sofferenza e ai loro familiari che rischiano un isolamento doloroso, diventando segno concreto della vicinanza di Dio e della comunità.

VIII stazione Gesù incontra le donne di Gerusalemme.
Lo seguiva una grande moltitudine di popolo e di donne, che si battevano il petto e facevano lamenti su di lui. Ma Gesù, voltandosi verso di loro, disse: «Figlie di Gerusalemme, non piangete su di me, ma piangete su voi stesse e sui vostri figli». (LC 23, 27-28)

Negli ambienti di un ospedale le lacrime di Francesca, volontaria
«Dopo anni di volontariato in vari reparti dell’ospedale, ho chiesto a don Marco di fare servizio nella sala d’attesa fuori di terapia intensiva… in uno dei posti più critici, lì dove si attende, come sospesi nel vuoto.
La mia scelta è stata dettata dall’orgoglio, dal credermi pronta a sopportare il dolore straziante dei familiari. Ma quando oggi ho sentito il sussurro del medico ad una madre: «Non c’è più nulla da fare», al grido di quella donna avrei voluto scappare.
Ho visto le lacrime di tanti, in questi anni. Avrei voluto raccoglierle tutte, come fossi un’eroina capace di trovare per tutti una soluzione».

  «Solo quando ho cominciato a piangere anch’io, ho capito che in quel modo potevo essere accanto, presente, con piccoli servizi come passare un fazzoletto o portare un caffè. Anche nella notte del dolore più atroce. Come ora, che Patrizio se ne sta andando.
  Sto accanto al dolore di Giovanna, la madre; al dolore delle sorelle; anche al dolore di suor Carla, che ne ha viste di tragedie, di incidenti, di suicidi di giovani, come l’altra sera».
«Sono volontariamente accanto a queste croci, con la fede di chi sa che il Signore sta offrendo di nuovo la sua vita, nella certezza che Lui non abbandona, anche in questo buio.
Sì, ha un senso tendere la mano, anche quando sembra inutile».

♦ Ricordati, o Dio, della tua alleanza rinnovata sulla Croce col sangue dell’Agnello, e fa’ che il tuo popolo, libero da ogni colpa, progredisca sempre nella via della salvezza. Per Cristo nostro Signore.

+ Paolo Ricciardi vescovo ausiliare di Roma
(fonte: L’Osservatore Romano, 12 marzo 2021).

Alle donne che piangono su di lui, Gesù rimanda loro il gesto di pietà ricevuto: «Non piangete su di me, ma piangete su voi stesse e sui vostri figli». – C’è qualcosa che rimane alla pietà dell’uomo e della donna: offrire le proprie lacrime per stare vicino a chi soffre. – C’è da piangere per coloro che sono nella tristezza, perché soffrono nel corpo e nello spirito; per coloro che sono perseguitati per la fede e la giustizia; per coloro che sono lontano dalla famiglia; per coloro che sono senza casa e senza lavoro. – Tutto ciò può essere un servizio di consolazione e solidarietà: il ministero della consolazione attivo in ogni comunità parrocchiale. – Si può diventare ministri della consolazione dimostrando atteggiamenti di cura e accompagnamento umano e spirituale dei sofferenti, diventando segno concreto della vicinanza di Dio e della comunità.

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