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Breve storia delle tonnare: tradizioni che scompaiono

Una antica tradizione, che purtroppo rischia di estinguersi

La vita è certamente il bene più importante per ogni essere vivente, pertanto dai tempi più antichi, l’uomo ha offerto agli dei la vita degli animali per ringraziarli o per chiedere particolari favori

La vecchia tonnara di Portoscuso – foto Delitala

La mattanza dei tonni è un vero rito sacro ancestrale: il rais, è il sacerdote incontrastato le cui decisioni non sono discutibili; i pescatori invocano la divinità prima di iniziare la mattanza e tutto il sangue, il dolore e la disperazione di questi momenti ha qualcosa di necessario e ineluttabile.
Per tutto l’anno si aspetta con ansia la primavera, perché quello è il momento in cui i tonni, attraverso lo stretto di Gibilterra, entrano nel Mediterraneo per il rito della riproduzione. Viaggiano in grandi branchi per proteggersi, ma questa è anche la loro debolezza, essendo il tragitto sempre lo stesso, quello imposto dall’ istinto; pertanto, già nell’epoca neolitica, come descritto in un graffito inciso in una grotta di Levanzo nelle isole Egadi, gli uomini hanno imparato ad aspettarli per indirizzarli per mezzo di reti, sino alla “camera della morte” dove si concretizzerà il loro sacrificio.
Si pensa che sin dai tempi dei nuragici, nel secondo millennio avanti Cristo, in Sardegna si
pescassero questi grossi pesci che, essiccati e salati, potevano essere una importante risorsa alimentare per i periodi di magra. I Fenici, frequentemente presenti nell’isola per scambi commerciali, incrementarono questa consuetudine che fu sostenuta successivamente anche dai Cartaginesi, per i quali il tonno era pietanza bene augurante nei banchetti nuziali. In seguito, nell’alto Medioevo, gli arabi diedero un contributo importante all’organizzazione delle tonnare, con introduzione di reti fisse. In epoca romana, Galeno di Pergamo, noto medico e filosofo, elogió la bontà del tonno sardo.
Dai documenti d’archivio risulta che, sotto la dominazione spagnola, in Sardegna le tonnare diventarono proprietà del re di Spagna che le cedeva in locazione e costituivano un importante cespite per le casse regie e per la povera economia dell’isola.
Col passare del tempo, nella tradizione della pesca del tonno si sono affermati tre sistemi. Il più caratteristico è quello delle tonnare: vengono predisposte reti fisse che si sviluppano in diverse camere successive nel tratto di mare in cui si prevede il passaggio dei tonni, in questa maniera i pesci verranno indirizzati verso la “camera della morte”. Quando questa sarà al completo di pesci, verrà sollevata la rete dal fondo e si procederà alla mattanza, arpionando i tonni.
Il secondo sistema è la pesca con reti di circuizione, cioè si posizionano attorno al branco lunghe reti in modo da rinchiuderli in vere e proprie gabbie che verranno poi trascinate in tratti di mare, dove i pesci stazioneranno per mesi, saranno messi all’ingrasso e sacrificati quando avranno raggiunto il peso stabilito;
il terzo sistema è costituito dai “palangari”, cioè chilometri di lenze con grossi ami innescati con altri pesci.
Delle centoventi tonnare presenti lungo le coste italiane, attualmente sono attive solo le quattro al sud della Sardegna: Portoscuso, Porto Paglia, Cala Vinagra e Carloforte: le altre hanno cessato la loro attività in quanto le quote imposte dall’Europa non sono ritenute abbastanza remunerative alla luce degli ingenti costi richiesti per l’allestimento di una tonnara.
Da 500 anni a Portoscuso, nato come villaggio di pescatori ed ora graziosa cittadina, si pesca il tonno.
Andrea Farris, amministratore delegato delle Tonnare Sulcitane, è giovane e pieno di entusiasmo. Molto gentilmente ci ha concesso un’intervista.
Dal 2007 gestisce la tonnara di Porto Paglia acquistata col padre da una cooperativa di pescatori che ne possedeva il 50%: questi non pescavano tonni, ma erano titolari della quota – tonno, non avevano pertanto neppure le imbarcazioni e le reti adatte a tale tipo di pesca, per cui i Farris hanno dovuto provvedere all’allestimento di tutte le strutture necessarie.
Essendo la postazione di Porto Paglia troppo vicina alla riva, i primi due anni non furono produttivi e, per non andare in perdita, i nuovi proprietari dovettero accordarsi in s.r.l. con le tonnare di Carloforte. In questa maniera poterono bilanciare la pesca più abbondante di alcune postazioni con quella più scarsa di altre, rispettando quindi le quote stabilite dall’Europa. Tuttavia, si rese necessario stipulare un contratto per la vendita del tonno con Malta, dove parte del pescato viene trasportato, ancora oggi, vivo nelle reti di circuizione e destinato al mercato giapponese.
Per tanti secoli la mattanza si concludeva in poco più di un mese e questo determinava notevoli inconvenienti, sia per il reperimento di ingenti quantità di ghiaccio, sia per la vendita e il confezionamento di tonnellate di tonno in tempi molto ristretti. Solo ai primi del 1800 gli inventori Nicolas Appert e Bryan Dankin introdussero l’utilizzo delle scatolette sterilizzate, metodica che permetteva una lunga conservazione del prodotto che da secoli invece, veniva o salato o messo sott’olio in grandi contenitori, per cui era necessario consumarlo in tempi brevi.
Tradizione, sostenibilità, eccellenza, questo è l’ambizioso progetto di Andrea Farris che, appena potrà affrancarsi dal contratto con Malta, intende destinare i tonni freschi o a bassissime temperature, solo ad un mercato dapprima italiano, poi europeo, svincolandosi dai mercati giapponesi. Sta intanto maturando il progetto di posizionare gabbie da adibire a”farm off shore” per l’allevamento in acquacoltura, come si fa nelle acque di Malta.
Attualmente le tonnare del Sulcis sono attive da maggio a settembre: i tonni vivono prigionieri nelle reti che permettono l’ingresso di branchi di piccoli pesci, per cui essi si alimentano naturalmente. In base alle richieste del mercato, vengono uccisi col metodo giapponese uki jime, cioè sparandoli in testa, in modo che non soffrano, decapitandoli ed eviscerandoli in tempi brevissimi, quindi, immergendoli in una granita di ghiaccio, in modo che non avvenga la liberazione dell’istamina e gli anisachis non abbiano la possibilità di infettare le carni.
I sub e i biologi marini controllano lo stato di salute degli animali e provvedono a togliere dalle reti quelli che si fossero impigliati: infatti, i tonni hanno una respirazione “ad ariete” che può avvenire solo in movimento, quando l’acqua dalla bocca passa ad ossigenare le branchie, perciò, se il tonno sta fermo muore soffocato in pochi minuti.
Controlli statali rigorosissimi fanno sì che vengano pescate solo le quantità stabilite, onde evitarne l’estinzione, perciò i tonni eccedenti o quelli sottopeso vengono liberati dalle reti.
Ogni tonno pescato ha la sua carta d’identità che descrive la forma, il peso la quantità di grasso, il colore e la temperatura, che aumentando con lo stress, determina un deterioramento delle carni.
Con apposita lampada si fa il controllo dell’istamina che si libera quando l’animale soffre o viene lasciato al caldo sulla barca.
l’Amministratore della Cooperativa delle Tonnare, Umberto Maccioni, dopo aver concluso la sua carriera in Capitaneria di porto, grazie alla sua esperienza viene chiamato a contribuire alla organizzazione della tonnara che, mi dice, impegna almeno 70 persone oltre l’indotto. L’attività ha inizio verso ottobre con la preparazione delle reti e si lavora fino a settembre.
Prima che l’ ICCAT (Commissione Internazionale per la Conservazione del tonno nell’atlantico) e l’Europa stabilissero le quote massime pescabili, il tonno rosso correva rischio di estinzione, in quanto i giapponesi, lo avvistavano con gli elicotteri, avevano le navi-fattoria e praticavano una pesca selvaggia in tutto il Mediterraneo.
“Fino agli anni 90 erano in attività solo le tonnare di Carloforte e Portoscuso, mentre le altre erano ferme da tanti anni; dal 1979 era stata abbandonata la posta di Porto Paglia, in quanto i tonni venivano deviati a causa degli scarichi delle miniere che avevano inquinato quel tratto di mare. Una volta chiuse le miniere, i tonni sono tornati numerosi, perciò dal 2007 – dice Umberto Maccioni – abbiamo ripreso l’attività: é venuto un rais dalla Sicilia per darci una mano nell’addestramento del personale; speriamo di avere al più presto l’autorizzazione per la farm, in modo da consentirci di allevare i tonni, come fanno a Malta e garantirne la pesca per tutto l’anno”.
Ringrazio Andrea Farris e Umberto Maccioni per la loro cortesia ed auguro loro di poter continuare e trasmettere questa tradizione antica, che purtroppo rischia di estinguersi.

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