Cultura e Società

La bisaccia del pellegrino

Rubrica religiosa settimanale a cura di P. Salvatore Brugnano

Pensieri sparsi per nutrire la mente e l’anima durante la settimana


Maggio 2011, seconda settimana: 8-14 maggio
1. Vangelo della domenica 8 maggio – Domenica 3 di Pasqua – Anno A – Lo riconobbero nello spezzare il pane.
2. Aspetti della vita – Giovanni Paolo II si confessava tutte le settimane.
3. Un incontro con S. Alfonso – Inchiodato dalla sciatica, pur lavorava.
4. Vivere la settimana con la liturgia = 9-14 maggio 2011.
5. Curiosità calabresi del passato = La festa de “I tri da Cruci” in Tropea.

1. Vangelo della domenica – ( Lc 24,13-35)
Lo riconobbero nello spezzare il pane.

Ed ecco, in quello stesso giorno [il primo della settimana] due dei [discepoli] erano in cammino per un villaggio di nome Èmmaus, distante circa undici chilometri da Gerusalemme, e conversavano tra loro di tutto quello che era accaduto. Mentre conversavano e discutevano insieme, Gesù in persona si avvicinò e camminava con loro. Ma i loro occhi erano impediti a riconoscerlo.
Ed egli disse loro: «Che cosa sono questi discorsi che state facendo tra voi lungo il cammino?». Si fermarono, col volto triste; uno di loro, di nome Clèopa, gli rispose: «Solo tu sei forestiero a Gerusalemme! Non sai ciò che vi è accaduto in questi giorni?». Domandò loro: «Che cosa?». Gli risposero: «Ciò che riguarda Gesù, il Nazareno, che fu profeta potente in opere e in parole, davanti a Dio e a tutto il popolo; come i capi dei sacerdoti e le nostre autorità lo hanno consegnato per farlo condannare a morte e lo hanno crocifisso. Noi speravamo che egli fosse colui che avrebbe liberato Israele; con tutto ciò, sono passati tre giorni da quando queste cose sono accadute. Ma alcune donne, delle nostre, ci hanno sconvolti; si sono recate al mattino alla tomba e, non avendo trovato il suo corpo, sono venute a dirci di aver avuto anche una visione di angeli, i quali affermano che egli è vivo. Alcuni dei nostri sono andati alla tomba e hanno trovato come avevano detto le donne, ma lui non l’hanno visto».
Disse loro: «Stolti e lenti di cuore a credere in tutto ciò che hanno detto i profeti! Non bisognava che il Cristo patisse queste sofferenze per entrare nella sua gloria?». E, cominciando da Mosè e da tutti i profeti, spiegò loro in tutte le Scritture ciò che si riferiva a lui.
Quando furono vicini al villaggio dove erano diretti, egli fece come se dovesse andare più lontano. Ma essi insistettero: «Resta con noi, perché si fa sera e il giorno è ormai al tramonto». Egli entrò per rimanere con loro.
Quando fu a tavola con loro, prese il pane, recitò la benedizione, lo spezzò e lo diede loro. Allora si aprirono loro gli occhi e lo riconobbero. Ma egli sparì dalla loro vista. Ed essi dissero l’un l’altro: «Non ardeva forse in noi il nostro cuore mentre egli conversava con noi lungo la via, quando ci spiegava le Scritture?».
Partirono senza indugio e fecero ritorno a Gerusalemme, dove trovarono riuniti gli Undici e gli altri che erano con loro, i quali dicevano: «Davvero il Signore è risorto ed è apparso a Simone!». Ed essi narravano ciò che era accaduto lungo la via e come l’avevano riconosciuto nello spezzare il pane.
 
«Come ad Emmaus, il Signore scende… sulla strada dell’uomo per farsi suo compagno di viaggio e animarlo di speranza per il suo cammino», scrivono i Vescovi italiani (Eucaristia Comunione e Comunità, 36). Proprio il Vangelo odierno mostra che Gesù, anch’egli viandante, incontra due discepoli delusi e dal volto triste, in cammino verso Emmaus. Poi però Gesù restituisce ad essi la speranza certa della sua risurrezione, allorché apre il loro cuore all’intelligenza delle Scritture e spezza il pane. Benedetto XVI precisa: «Nel sacramento dell’altare, il Signore viene incontro all’uomo… facendosi suo compagno di viaggio» (Sacramentum caritatis, 2). – È nella Cena eucaristica che il Risorto cammina con noi e ci guida per le vie della vita. Chi invece diserta la sua mensa non incontra il Signore pellegrino per noi: neppure avrà la Parola di salvezza e il cibo che ristora per l’eternità.  (Sergio Gaspari, in “La Domenica”).

La scena di Emmaus è un capolavoro di catechesi liturgica e missionaria. Vi è descritto l’itinerario di due discepoli che lasciano Gerusalemme illusi e delusi e vi ritornano per ripartire gioiosi e fiduciosi verso la testimonianza, perché sono stati incontrati dal Crocifisso-Risorto, spiegazione di tutta la Scrittura e presenza perenne tra i suoi nel sacramento del “pane spezzato”.
L’inizio del cammino è un allontanarsi dal Crocifisso. La crisi della croce sembra aver seppellito ogni speranza. Colui che l’ha fatta nascere, l’ha portata con sé nella tomba. Non bastano voci di donne per farla rinascere. Gesù raggiunge i due subito a questo inizio e chiede di spartire con loro domande e scandalo.
Ecco la prima tappa, quella del problema posto ad ogni persona dall’evento Gesù, il Crocifisso.
L’appello di Cristo ci raggiunge sulla strada della nostra fede incompiuta e della sua domanda.
Gesù non arriva di faccia, ma da dietro, come dice il testo greco, e cammina a fianco, da forestiero.
Il passaggio al riconoscimento ha bisogno della spiegazione delle Scritture. Solo il Risorto ne è l’interprete adeguato.
Il cuore riscaldato e riaperto dal segno della Parola spiegata implora il viatico di un segno più intimo, quello del pane spezzato. Gesù, però, sparisce.
La Chiesa non può trattenere Gesù nella visibilità storica di prima. Deve sapere e credere che egli è vivo con lei e la vivifica nell’Eucaristia. I discepoli capiscono e tornano a Gerusalemme per condividere con gli apostoli la testimonianza.
Emmaus è un capolavoro di dialogo confortante. Emmaus assicura tutti che, quando ascoltano la Scrittura nella liturgia della Parola e partecipano allo spezzare del pane nella liturgia eucaristica, sono realmente incontrati da Cristo e ritrovano fede e speranza. (La Chiesa.it)

2. Aspetti della vita
Il Beato Giovanni Paolo II si confessava tutte le settimane

Joaquín Navarro-Valls, che è stato portavoce di Giovanni Paolo II per 21 anni, durante la grande veglia di preghiera che ha preceduto il giorno della Beatificazione ha offerto la sua testimonianza su aspetti poco conosciuti del nuovo Beato.
«Per capire il Papa polacco bisogna comprendere che cos’è la Misericordia Divina: “Lui, che aveva quasi riscattato la persona umana dal pessimismo, pensava in fondo che la cosa di cui veramente ciascuno ha bisogno è la Misericordia di Dio… Forse per questo cercava questa misericordia di Dio tutte le settimane nella confessione. Si confessava tutte le settimane perché sapeva che noi esseri umani non possiamo farci belli, buoni e puri da soli. Abbiamo bisogno di questo aiuto che ci viene da Dio attraverso i sacramenti”.
Navarro-Valls ha anche ricordato che lo vedeva nella sua cappella privata, in ginocchio, con dei piccoli biglietti di carta che leggeva e poi pregava per molto tempo. Erano testi delle numerose lettere delle persone del mondo che gli scrivevano e che lui portava nella preghiera. “Tutti i dolori del mondo arrivavano a lui, e lui nutriva la sua preghiera dei bisogni di tutti gli altri. Penso che nella sua preghiera non ci fosse spazio per nessuna cosa personale… Vederlo pregare era vedere una persona che sta in conversazione con Dio”.
“Devo dire che in quella giornata del ‘Santo subito’ ho pensato: “Peccato che arrivino in ritardo, perché i santi o lo sono mentre sono vivi o non lo saranno mai. Io penso che la Chiesa non fa i santi, la Chiesa semplicemente riconosce, conferma che la vita di quella persona era la vita di una persona santa”.
E infine ha concluso.“Grazie Giovanni Paolo II per quel capolavoro che con l’aiuto di Dio hai fatto nella tua vita” (da Zenit.org).

3. Un incontro con S. Alfonso
Inchiodato dalla sciatica, pur lavorava
S. Alfonso ebbe molto a soffrire per dolori osteoarticolari. L’iconografia ce lo tramanda piegato sul busto… La sciatica aprì la via alla sua terribile sofferenza. “La malattia osteoarticolare, complicata con disturbi neuritici, fa ingresso molto tardi nella vita del Santo. E’ soltanto verso i 70 anni che nel quadro dei vari malanni si inserisce drammaticamente la osteoartrosi; ed invero con una tale violenza da far passare in un secondo piano i già gravi disturbi di petto e gli episodi malarici.
L’inizio di quest’ultima malattia si fa risalire al maggio del 1768. In data 1° giugno il Santo scriveva: “Da 15 giorni… dolori interni… mi hanno pigliato quasi mezza vita”  – Il Tannoia così parla di questo episodio morboso: “Sorpreso si vide da febbre così leggera, che stimossi catarrale. Avanzata nel secondo e terzo giorno, putrida si credette e pericolosa… Svanita la febbre, a capo di tre giorni attaccato trovossi… da una general flussione e con spasimo nella destra coscia. Battezzandola i medici, stimossi un qualche principio di sciatica, nascente da umore reumatico. Di fatti tal dolore se li risvegliò nell’osso scio”.
Il 7 luglio, dopo 6 0 7 giorni di relativo benessere, ritorna la febbre ed il dolore nell’osso scio. Il cameriere del Santo così racconta: “Dopo di detto giorno di S. Anna [26 luglio 1768] si intese Monsignore malato, con una flussione generale in tutto il corpo, e specialmente se gli risvegliò un dolore nell’osso scio, tal che non fu in istato di terminare la novena”. Il 20 luglio aveva iniziato una novena per impetrare dal Signore la pioggia per il suo popolo…  Nei giorni successivi, la malattia persiste ed il dolore della sciatica è tale da non permettergli il riposo a letto. Il Padre Mazzini, riferendosi a notizie raccolte nei giorni precedenti, così scrive in data 21 agosto 1768: “Monsignore si ritrova con febbre e con dolori di sciatica che lo necessitano a stare sempre seduto, senza potersi mettere in letto”. Ed il Tannoia: “Se si ammansì la febbre, non si addolcirono i dolori. Pertinace e troppo dolorosa fu questa artritide. Non trovando sito nel letto, trovollo appena sopra una sedia. Ivi inchiodato, con quel travaglio che idear si può, se la passava di giorno e di notte e, non essendo nello stato da potersi muovere e rivestire, come ritrovavasi in camicia e colle sole mutande, così ne stava, facendo compassione a tutti… In questo stato e così deplorabile, inchiodato sopra una sedia, sollecito vedevasi con istupore d’ognuno, come se nulla patisse, nell’informarsi delle cose della Diocesi” (da Il corpo di S. Alfonso).

4. Vivere la settimana con la liturgia =  (9-14 maggio) Liturgia delle Ore: III settimana di Pasqua

9 maggio (lunedì) – Colore liturgico: bianco
Pensiero dalle letture bibliche di oggi  Beato chi cammina nella legge del Signore. – Cosa ci spinge a cercare il Signore: la fede in lui o soltanto le nostre necessità materiali? Dalla risposta a questa domanda dipende l’autenticità del nostro cammino
Letture bibliche alla Messa di oggi  =   Atti 6,8-15; Salmo 118,23-24.26-27.29-30; Giovanni 6,22-29.
Santi di oggi  =  San Pacomio; Sant’Isaia profeta; Beato Forte Gabrielli.
 
10 maggio (martedì) – Colore liturgico: bianco
Pensiero dalle letture bibliche di oggi  =  Alle tue mani, Signore, affido il mio spirito. – Gesù Cristo si definisce “il pane della vita”. Niente e nessuno, al di fuori di lui, può saziare la fame e la sete di pienezza che brucia nel nostro cuore.
Letture bibliche alla Messa di oggi  = Atti 7,51 – 8,1a; Salmo 30,3-4.6-8.17.22; Giovanni 6,30-35.
Santi di oggi  =  San Gordiano; San Cataldo; Beata Beatrice d’Este.

11 maggio (mercoledì) – Colore liturgico: bianco
Pensiero dalle letture bibliche di oggi  =  Acclamate Dio, voi tutti della terra. – Il disegno del Padre è che nessuno si perda di quanti ha affidato al Figlio suo. Abbiamo allora fiducia: se apparteniamo al Signore, nulla ci potrà nuocere.
Letture bibliche alla Messa di oggi  = Atti 8,1b-8; Salmo 65,1-7; Giovanni 6,35-40.
Santi di oggi  =  Sant’Ignazio da Laconi; Sant’Antimo; Beato Gregorio Celli.

12 maggio (giovedì) – Colore liturgico: bianco
Pensiero dalle letture bibliche di oggi  Acclamate Dio, voi tutti della terra. – L’amore del Padre ci attira ad incontrare il Cristo. E l’incontro più intimo si realizza nell’Eucaristia, che ci comunica la vita del Risorto.
Letture bibliche alla Messa di oggi  =  Atti 8,26-40; Salmo 65,8.16-17.20; Giovanni 6,44-51.
Santi di oggi  =  Santi Nereo e Achilleo; San Pancrazio. 
 
13 maggio (venerdì) – Colore liturgico: bianco
Pensiero dalle letture bibliche di oggi  Andate in tutto il mondo e proclamate il Vangelo.  – Al di fuori della logica della fede, il discorso eucaristico è ancora oggi scandaloso. Il corpo e il sangue di Cristo è il nostro vero tesoro: alimento del nostro cammino, farmaco di immortalità, mistero di comunione con il Signore.
Letture bibliche alla Messa di oggi  =   Atti 9,1-20; Salmo 116,1-2; Giovanni 6,52-59.
Santi di oggi  =  Beata Maria Vergine di Fatima; Beata Maddalena Albrici..

14 maggio (sabato) – Colore liturgico: rosso
Pensiero dalle letture bibliche di oggi  Il Signore lo ha fatto sedere tra i prìncipi del suo popolo.  – Dopo l’ascensione di Gesù, gli apostoli rimangono in undici. La ferita del tradimento di Giuda deve essere risanata: il suo posto sarà preso da Mattia, che viene associato al collegio apostolico..
Letture bibliche alla Messa di oggi  =   Atti  1,15-17.20-26; Salmo 112,1-6; Giovanni 15,9-17.
Santi di oggi  =  San Mattia, apostolo – Santa Maria Domenica Mazzarello; Santi Vittore e Corona.

5. Curiosità calabresi del passato
La festa de “I tri da Cruci” in Tropea
Svolgimento della festa
L’inizio della festa avviene qualche ora dopo il tramonto, con l’intervento della musica cittadina. Dopo una breve funzione religiosa, col relativo panegirico, cominciano i fuochi d’artificio, mentre la musica suona allegri ballabili ed in segno di giubilo vengono lanciati nel cielo limpido degli aerostati di carta velina.
Ad un certo momento ecco che appare il fuochista al balcone, sul cui verone sta fissato uno dei capi della funicella, che sorregge la colombina, e con una miccia le dà fuoco. Subito essa si parte veloce, lasciando sul suo passaggio come una scia di scintille, raggiunge il balcone opposto e, dopo un istante di sosta, fa ritorno al punto di partenza, mentre la galera, agitata lievemente dalla brezza serotina, s’incendia. Dapprima sono i bengala che l’illuminano graziosamente, poi cominciano a tuonare le artiglierie, che finiscono col farla scoppiare.
Mentre la carcassa della galera, che fumigando pensola dal canapetto, va spegnendosi, i giovani danno fuoco alla catasta dì sterpi e, quando le fiamme son diventate alte, chi si mette dalla parte di su e chi di giù della strada e cominciano a spiccare dei salti su di essa.
Il popolo assiste con molto interesse a questo spettacolo ed i giovani cercano mostrare la loro bravura facendo dei salti più alti che sia loro possibile; ma capita spesso che qualcuno inesperto o maldestro, finisce col cadere nel fuoco, riportando delle scottature. Allora la folla comincia ad urlare e fischiare, ed il caduto, il quale nel men che si dica è già in piede, se ne va via umiliato, scotendosi i tizzoni, rimasti attaccati al suo abito.
Durante questo rito magico, che tale è da considerarsi, tutti son presi da un furore, il quale scema soltanto con l’affievolirsi delle fiamme e quando queste finiscono di brillare, nessuno osa più spiccare salti. In questo momento subentrano i poveri, i quali beneficiano dei resti del falò e con opportuni arnesi raccolgono tizzi e carboni accesi, per portarseli a casa.
Ed eccoci all’ultimo numero degli spettacoli, pur esso interessante. Non si è ancora diradato il fumo del falò che si ode suonare da un tamburino, accompagnato dalla grancassa, la cosiddetta carricatumbula e poi si vede apparire ballando, saltando e facendo tante piroette, il camiuzzu di focu, il quale consiste in uno scheletro di cavallo fatto con liste di canna, su cui sono variamente disposi: razzi e bengaline che fischiano, bombe che esplodono ed al posto della coda vi è situata una piccola girandola, la quale contribuisce a dare a questo strano animale un aspetto fantastico.
Ordinatamente lo mette in azione il pirotecnico che lo costruì, il quale, avendo fatto passare il suo busto attraverso un apposito spazio, che il camiuzzu porta sulla groppa, lo sostiene con ambo le mani, funzionando cosi da cavaliere e da motore…
Col ballo del camiuzzu finisce la festa ed i borghigiani lieti e soddisfatti rincasano e non vanno a dormire se prima non abbiano mangiato tre fichi secchi (detti ‘i fica d’a cruci), perché la credenza popolare vuole che chi non cura far ciò qualche giorno potrà essere mangiatu d’i zampagghjuni, ossia punto dalle vespe.
(Giuseppe Chiapparo, in Etnografia di Tropea – Scritti demologici e storici, M.G.E. 2009, p. 92-93).

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